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Divenire

Rassegna di studi interdisciplinari sulla tecnica e sul postumano

LA RIVISTA

Presentazione

Divenire è il titolo di una serie di volumi incentrati sull'interazione tra lo sviluppo vertiginoso della tecnica e l'evoluzione biologica dell'uomo e delle altre specie, ovvero votati allo studio dei rapporti tra la tecnosfera e la biosfera. Gli autori, provenienti da diverse aree disciplinari e orientamenti ideologici, sviluppano la propria analisi con occhio attento al probabile esito finale di queste mutazioni casuali o pianificate: il postumano. Sono dunque studi che sul piano temporale spaziano nel presente, nel passato e nel futuro, mentre sul piano della prospettiva disciplinare sono aperti a idee e metodi provenienti da diverse aree di ricerca, che vanno dalle scienze sociali alle scienze naturali, dalla filosofia all'ingegneria, dal diritto alla critica letteraria.

Ogni volume ha quattro sezioni. In Attualità compaiono studi attinenti a problematiche metatecniche del presente. Genealogia è dedicata a studi storici sui precursori delle attuali tendenze transumanistiche, futuristiche, prometeiche — dunque al passato della metatecnica. In Futurologia trovano spazio esplorazioni ipotetiche del futuro, da parte di futurologi e scrittori di fantascienza. Libreria è dedicata ad analisi critiche di libri su tecnoscienza, postumano, transumanesimo.
I volumi pubblicati finora (ora tutti leggibili in questo sito):

  1. D1. Bioetica e tecnica
  2. D2. Transumanismo e società
  3. D3. Speciale futurismo
  4. D4. Il superamento dell'umanismo
  5. D5. Intelligenza artificiale e robotica

Divenire 5 (2012) è interamente dedicato all'Intelligenza Artificiale (IA).

Intelligenze artificiose (Stefano Vaj) sostiene che il tema dell'automa (esecuzione di programmi antropomorfi o zoomorfi su piattaforma diversa da un cervello biologico) resta tuttora circondato da un vasto alone di misticismo: quando non viene negata in linea di principio la fattibilità dell'IA, ne viene esagerata escatologicamente la portata. (english version)

La maschera dell'intelligenza artificiale (Salvatore Rampone) indaga gli equivoci concettuali sottostanti alla domanda se una macchina abbia intelligenza o possa pensare e spiega perché l'IA debba nascondersi sotto la maschera del Soft computing.

Il problema filosofico dell'IA forte e le prospettive future (Domenico Dodaro) Analizza il tema della coscienza  semantica mettendo in luce i suoi  aspetti corporei e considera la possibilità di implementarli in sistemi artificiali. Sono valutati sia i limiti tecnologici e computazionali della riproduzione artificiale della coscienza (intesa come una facoltà del vivente) sia i programmi di ricerca più fecondi al fine di arginarli.

Cervelli artificiali? (Emanuele Ratti) espone il progetto di ricerca forse più ardito nel campo dell'IA che emula funzioni e organi biologici: il cervello artificiale di Hugo de Garis, introducendo concetti chiave di questo settore disciplinare come rete neurale e algoritmo genetico.

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Presentazione

Automi e lavoratori. Per una sociologia dell'intelligenza artificiale (Riccardo Campa) sposta l'attenzione sull'impatto economico e sociale della computerizzazione e della robotizzazione. Quali effetti sull'occupazione e quali correttivi per massimizzare i benefici e minimizzare gli effetti indesiderati? Proiettando il tema nel futuro, vengono analizzati i possibili scenari, in dipendenza di diverse politiche (o non-politiche) dello sviluppo tecnologico.

Il nostro cervello cinese (Danilo Campanella) riporta l'origine dei calcolatori moderni all'antica Cina. Utilizzando matematica, teologia e misticismo, i cinesi elaborarono i primi rudimenti del linguaggio binario, poi rubato dagli occidentali.

Alan Turing: uno spirito transumanista (Domenico Dodaro) Sono esposte le ragioni per cui Turing può essere definito un pensatore transumanista. Il matematico inglese è in genere descritto solo come padre dell'IA tradizionalmente intesa. L'analisi dell'autore dimostra invece la sua vicinanza ai temi delle "nuove scienze cognitive" e della computazione complessa (o ipercomputazione).

Passato, presente e futuro dell'Intelligenza Artificiale (Bruno Lenzi). L'articolo mostra, su un arco temporale molto ampio, fallimenti, riuscite, pericoli e scoperte delle scienze cognitive, sottolineando che l'IA non è questione solo tecnico-scientifica, racchiude germogli e frutti maturi in ogni area del sapere, e potrebbe essere molto diversa dall'intelligenza umana.

Post-embodied AI (Ben Goertzel). L'autore, uno dei principali sostenitori dell'AI forte, analizza la questione filosofica dell'embodiment: una intelligenza artificiale forte (capace di risolvere problemi in domini nuovi, di comunicare spontaneamente, di elaborare strategie nuove) deve necessariamente avere un body?

Nanotecnologia: dalla materia alle macchine pensanti (Ugo Spezza) spiega questo ramo della scienza applicata che progetta nanomacchine e nanomateriali in molteplici settori di ricerca: biologia molecolare, chimica, meccanica, elettronica ed informatica. L'articolo presenta le applicazioni già esistenti e le fantastiche potenzialità progettuali, dai nanobot per il settore medico ai neuroni artificiali.

Verso l'Intelligenza artificiale generale (Gabriele Rossi) introduce la Matematica dei Modelli di Riferimento degli iLabs ed esplora i potenziali vantaggi di questa prospettiva alla luce di alcune questioni teoriche di fondo che pervadono tutta la storia della disciplina.

Ich bin ein Singularitarian (Giuseppe Vatinno) è una recensione di La singolarità è vicina di Ray Kurzweil.

NUMERI DELLA RIVISTA

Divenire 1. Bioetica e tecnica

INTRODUZIONE

ATTUALITÀ

GENEALOGIA

FUTUROLOGIA

LIBRERIA

Divenire 2. Transumanismo e società

INTRODUZIONE

ATTUALITÀ

GENEALOGIA

FUTUROLOGIA

LIBRERIA

Divenire 3. Speciale futurismo

INTRODUZIONE

ATTUALITÀ

GENEALOGIA

FUTUROLOGIA

LIBRERIA

Divenire 4. Il superamento dell'umanismo

INTRODUZIONE

ATTUALITÀ

GENEALOGIA

FUTUROLOGIA

LIBRERIA

Divenire 5. Intelligenza artificiale e robotica

INTRODUZIONE

ATTUALITÀ

GENEALOGIA

FUTUROLOGIA

LIBRERIA

RICERCHE

1

2

3

4

CHI SIAMO

Comitato scientifico

Riccardo Campa
Docente di metodologia delle scienze sociali all'Università Jagiellonica di Cracovia
Patrizia Cioffi
Docente di neurochirurgia all'Università di Firenze
Amara Graps
Ricercatrice di astronomia all'Istituto di Fisica dello Spazio Interplanetario
James Hughes
Docente di sociologia medica al Trinity College del Connecticut
Giuseppe Lucchini
Docente di statistica medica all'Università di Brescia
Alberto Masala
Ricercatore di filosofia all'Università La Sorbonne (Paris IV)
Giulio Prisco
Vice-presidente della World Transhumanist Association
Salvatore Rampone
Docente di Sistemi di elaborazione delle informazioni all'Università degli studi del Sannio
Stefan Lorenz Sorgner
Docente di filosofia all'Università di Erfurt
Stefano Sutti
Docente di diritto delle nuove tecnologie all'Università di Padova
Natasha Vita-More
Fondatrice e direttrice del Transhumanist Arts & Culture H+ Labs

Ait

L'AIT (Associazione Italiana Transumanisti) è un'organizzazione senza scopo di lucro con la missione di promuovere, in ambito culturale, sociale e politico, le tecnologie di potenziamento dell'essere umano.

Fondata nel 2004, è stata formalizzata mediante atto pubblico nel 2006 ed ha avviato le pratiche per ottenere il riconoscimento.

Sede legale AIT: via Montenapoleone 8, 20121 Milano

Sito internet AIT: www.transumanisti.it (>)

Pubblica questa rivista: Divenire. Rassegna di studi interdisciplinari sulla tecnica e il postumano

Curatore: Riccardo Campa

Segretaria di redazione: Nicoletta Barbaglia

Art director: Emmanuele Pilia (>)

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L'uomo moltiplicato. Libertà, tecnica e postumanità nel futurismo

Autore: Adriano Scianca

da: Divenire 3, Genealogia () | pdf | stampa

Futurismo e culto della tecnica

«Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova. La bellezza della velocità. Un automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo… un automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia» (in De Maria (1973), 2000: 6).

Così, nello scritto Fondazione e manifesto del futurismo, pubblicato il 20 febbraio 1909, su Le Figaro di Parigi, Filippo Tommaso Marinetti cantava all’Europa della Belle Epoque la venuta dei tempi nuovi. Tecnofilia? C’è piuttosto chi ha parlato di macchinolatria, ad indicare una vera è propria mistica della macchina. «La lira è la macchina», dice Buzzi, a sottolineare la nascita di una nuova poetica. Nel trittico della velocità (1925-27) di Gerardo Dottori, dedicato ad una corsa automobilistica, del resto, le figure dei bolidi che tagliano il traguardo delineando linee di fuga verticali sembrano esattamente aprirsi ad una dimensione mistica, come in una pala d’altare neopagana e faustiana. Così Verdone riassume, in una panoramica generale, i diversi aspetti della macchinolatria futurista: «Pratella compone l’Aviatore Dro, la cui partitura implica un motore d’aereo in funzione; Boccioni lancia la parola modernolatria, che è anche macchinolatria. Folgore scrive Il canto dei motori, Severini spiega il macchinismo nell’arte, Pannaggi e Paladini (1922), cui si associa Prampolini (1923) lanciano il Manifesto dell’arte meccanica. Vasari scrive tra il 1923 e il 1925 il dramma L’angoscia delle macchine, e nel 1926, pubblicando poi nel 1931, Raum, che fa parte anch’esso del suo “ciclo delle macchine”» (Verdone, 2003: 90).

La modernità scompagina ogni categoria tradizionale e se si vuol essere all’altezza dei tempi occorre saper pensare un’estetica, un’etica, una politica, un’urbanistica, persino una spiritualità all’altezza dei tempi. Perché ogni fine di un ciclo delinea un nuovo inizio, ogni morte può apparire come rinascita, se inquadrata da un’altra ottica. E allora anche la frenesia, la smisuratezza, il prometeismo ingenuo della modernità che scardina le certezze e i fondamenti del mondo tradizionale, se ad una prima occhiata sembrano affogare l’uomo nelle “acque gelide del calcolo egoistico” (Marx) e rinchiuderlo in una “gabbia d’acciaio” (Weber), d’altro canto possono anche dar luogo ad un nuovo ordine culturale, sociale, etico, politico. La modernità, insomma, è in cerca di un’anima. Marinetti e sodali avevano accettato la sfida con tutto l’entusiasmo volontaristico di chi è pronto a “lanciare la propria sfida alle stelle”. Il futurismo, nella sua essenza più profonda, ha rappresentato esattamente questo: il tentativo sovrumano di reincantare la modernità dandole un senso senza snaturarla, ma anzi affrontando di petto e nel modo più radicale possibili tutte le sue questioni aperte, rilanciando all’infinito, forzando le contraddizioni fino a farle esplodere, praticando un eversione sistematica di tutto ciò che è “buon senso”, ovvero coscienza ingenua che “tira a campare” ma non vuole, non sente, non decide, non agisce. In tutto ciò nulla di progressista. Ma, beninteso, anche nulla di reazionario.

Quando il futurista vuole, invoca, cerca “l’avanti” sa che sta costruendo da solo il suo percorso, sa che nessuna strada è già tracciata. Così come sa che tornare indietro è impossibile. Qualunque cosa si dica o si faccia, la modernità rimane un fatto, il progressismo una favola, la reazione un’illusione. I futuristi non credono alle favole e schifano le illusioni. Amano, però, fare i conti con i fatti dando loro, se necessario, un’armatura di pensiero e arte. Vogliono «inneggiare all’uomo che tiene il volante, la cui asta ideale attraversa la terra, lanciata a corsa, essa pure, sul circuito della sua opera» (in De Maria (1973), 2000: 6).

Libertà storica e spirito faustiano

Come è stato giustamente detto, l’avanguardia irrompe nella storia «come motore della rivoluzione, come progetto di un mondo nuovo plasmato da un’ideologia totale che parte dalla riforma dell’arte per arrivare a riformare la vita» (Grippo, 1997: 29). La sfida scagliata alle stelle dai futuristi ha in effetti un intenso carattere prometeico. Il futurista afferma una superiore libertà storica nel mondo in cui Dio è morto. Per affermare questa nuova consapevolezza post-metafisica è stato però necessario sgombrare il campo da ogni Legge e da ogni Dio biblicamente inteso: «Perché l’uomo sia libero (…) è certamente necessario uno spazio vuoto. Ma questo spazio è il nulla assoluto che la libertà-creatività umana va via via riempiendo, e che dunque (…) non può essere già da sempre riempito dalla Legge epistemico-teologica, ossia dalla Legge che – Leopardi e Nietzsche lo vedono con chiarezza totale – rende impossibile la libertà umana. L’uomo non è reso libero dal Dio dell’epistéme, ma dal nulla che circonda l’uomo e il mondo. L’uomo può creare perché è circondato dal nulla» (Severino, 2002: 37).

La “morte di Dio” – sorvolando qui sulla questione se esista un altro modo “non metafisico” di rapportarsi al divino – è quindi la condizione di possibilità di ogni libertà storica e di ogni autentica decisione umana. Quale libertà, quale creatività, quale decisione, infatti, sarebbero possibili se «l’Uno e il Pieno e l’Immoto e il Satollo e l’Imperituro» (Nietzsche, 1968: Parte seconda, capitolo “Sulle isole beate”) ingombrasse il sentiero che ci conduce al nostro destino? Come pensare il vuoto assoluto in presenza della pienezza assoluta? Cosa ne sarebbe della nostra libertà senza la sentenza terribile: “Dio è morto”? «Che cosa mai resterebbe da creare, se gli dei – esistessero!» (ibid). La morte di Dio, in effetti, rappresenta l’evento cruciale della storia occidentale in quanto fondamento della facoltà creatrice dell’uomo. Un evento spaesante, terribile, insostenibile per molti, eppure recante in sé la traccia della possibile palingenesi. Venuto meno il “Creatore”, all’uomo spetta il compito di “rilevare” la “creatura”, il mondo, farlo integralmente suo. Umanizzare l’universo e far sì che non esista più nulla di semplicemente “naturale”. L’arte si fa cosmogonia, l’artista diventa demiurgo. Questa dimensione prometeica è particolarmente visibile nel saggio su La nuova religione-morale della velocità (1916), in cui Marinetti può scrivere: «L’uomo cominciò col disprezzare il ritmo isocrono e cadenzato dei grandi fiumi, identico al ritmo del proprio passo. L’uomo invidiò il ritmo dei torrenti simile a quello del galoppo di un cavallo. L’uomo domò i cavalli, gli elefanti e i cammelli per manifestare la sua autorità divina mediante un aumento di velocità. Strinse alleanza con gli animali più docili, catturò gli animali ribelli e si cibò degli animali commestibili. L’uomo rubò l’elettricità dello spazio e i carburanti, per crearsi nuovi alleati nei motori. L’uomo costrinse i metalli vinti e resi flessibili mediante il fuoco, ad allearsi coi carburanti e l’elettricità. Formò così un esercito di schiavi, ostili e pericolosi ma sufficientemente addomestica-ti, che lo trasportano velocemente sulle curve della terra» (in De Maria (1973), 2000: 183).

Un anno prima, precisamente l’11 marzo 1915, Balla e Depero avevano del resto scritto uno dei testi centrali per comprendere la filosofia del futurismo, ovvero il sottovalutato Ricostruzione futurista dell’universo, che già nel titolo richiama apertamente una dimensione demiurgica, creatrice. «Noi futuristi Balla e Depero – dichiarano – vogliamo realizzare questa fusione totale [tra lirica parolibera e dinamismo plastico] per ricostruire l’universo rallegrandolo, cioè ricreandolo integralmente. Daremo scheletro e carne all’invisibile, all’impalpabile, all’imponderabile, all’impercettibile. Troveremo degli equivalenti astratti di tutte le forme e di tutti gli elementi dell’universo, poi li combineremo insieme, secondo i capricci della nostra ispirazione, per formare dei complessi plastici che metteremo in moto» (in De Maria (1973), 2000: 172). E ancora:

Siamo scesi nell’essenza profonda dell’universo e padroneggiamo gli elementi. Giungeremo così a costruire

L’ANIMALE METALLICO

Fusione di arte + scienza. Chimica, fisica, pirotecnica continua, improvvisa, dell’essere nuovo, automaticamente parlante, gridante, danzante» (in De Maria (1973), 2000: 175).

Il futurista ricrea il mondo, dà nuova forma e nuova vita all’universo. Ripete la creazione una seconda volta poiché si ribella alla prima. È per questo che i metafisici, i reazionari, i passatisti, i conservatori, i pii, non possono non guardarlo con sospetto. Scrive, non senza un brivido di terrore, Antonietta Grippo: «Michel Carrouges ha definito “ateismo prometeico” questa nuova fede nell’uomo, nella sua forza, nella sua intelligenza, ateismo che non solo caratterizza la poesia, absolument moderne, ma che, accettando il rovesciamento gnostico della simbologia, fa di Prometeo l’artefice della detronizzazione degli dei» (Grippo, 1997: 59)

Il futurismo volle essere molto più che arte e letteratura, cosa che pure sembra non esser compresa dai suoi tanti adoratori improvvisati in questi giorni di celebrazione per il centenario del primo manifesto. È in corso, in effetti, una manzonizzazione del futurismo. Si celebra la lettera tradendo costantemente lo spirito di quello che voleva essere un movimento rivoluzionario in senso profondo. Si parla di Marinetti come fosse, appunto, Manzoni. Un capitolo di storia della letteratura, nulla più. Un geniale ma innocuo episodio della nostra storia ormai definitivamente passata. Magari anche un po’ buffo. Ma comunque qualcosa di archiviato, concluso, morto, da contemplare con un misto di interesse, superiorità e divertimento, quasi si osservasse una propria vecchia foto, ridendo delle pettinature passate di moda. Un buon modo, in fondo, per uccidere il futurismo – ovvero il suo spirito, ciò che in esso è ancora attuale, vivente, pulsante – per la seconda volta, dopo averne dichiarato per anni l’irricevibilità, con conseguente damnatio memoriae. Ma ciò che è dannato suscita sempre simpatia, così come ciò che è dimenticato è sempre passibile di essere riscoperto. Molto meglio, invece, rendere innocuo un pensiero esplosivo bagnandogli le polveri, riassorbirlo come puro folclore. Dimenticandosi così di ciò che quel movimento veramente rappresentò, ovvero un progetto di cambiamento epocale, profondo, radicale che non poteva non toccare la stessa esistenza umana, trasfigurandola alla luce della rivoluzione delle macchine, in qualcosa che è già più-che-umano.

La fusione di uomo e macchina

Il carattere epocale, totalizzante della rivoluzione futurista, infatti, non poteva che investire la dimensione della vita e, più specificamente, quella dell'“umanità dell’uomo”, come spiega Emilio Gentile: «Il futurismo era il primo movimento artistico del Novecento che proponeva una rivoluzione antropologica per creare l’uomo nuovo della modernità, identificata con il trionfo della macchina e della tecnica, le possenti forze nuove sprigionate dal potere creativo dell’uomo, destinate a cambiare radicalmente l’uomo stesso, fino a giungere a una sorta di antropoide meccanico, essere disumano e sovrumano insieme, partorito dalla simbiosi fra uomo e macchina» (Gentile, 2009: 4).

Il testo marinettiano in cui maggiormente si regista tale consapevolezza è sicuramente L’Uomo moltiplicato e il Regno della macchina, addirittura del 1910. In questo scritto profondamente profetico, il padre del futurismo si propone di spezzare il legame romantico-letterario “donna-bellezza”, per cantare piuttosto il nuovo idolo dell’estetica moderna: l’idea della bellezza meccanica. Idea che, tuttavia, l’uomo della contemporaneità non ha da contemplare in senso meramente letterario, artistico, innocente. La separazione fra oggetto e soggetto finisce per venire meno, l’uomo si fonde con la macchina, la macchina con l’uomo.

«Bisogna dunque preparare l’imminente e inevitabile identificazione dell’uomo col motore, facilitando e perfezionando uno scambio incessante d’intuizione, di ritmo, d’istinto e di disciplina metallica, assolutamente ignorato dalla maggioranza e soltanto indovinato dagli spiriti più lucidi» (in De Maria (1973), 2000: 39).

E ancora:

Noi crediamo alla possibilità di un numero incalcolabile di trasformazioni umane, e dichiariamo senza sorridere che nella carne dell’uomo dormono le ali. Il giorno in cui sarà possibile all’uomo di esteriorizzare la sua volontà in modo che essa si prolunghi fuori di lui come un immenso braccio invisibile il Sogno e il Desiderio, che oggi sono vane parole, regneranno sovrani sullo Spazio e sul tempo domati. Il tipo non umano e meccanico, costruito per una velocità onnipresente, sarà naturalmente crudele, onnisciente e combattivo. Sarà dotato di organi inaspettati: organi adatti alle esigenze di un ambiente fatto di urti continui (in De Maria (1973), 2000: 40).

L’Uomo moltiplicato, per di più, «non conoscerà la tragedia della vecchiaia» (in De Maria (1973), 2000: 41). Longevismo, trasformazioni corporee, organi supplementari, fusione di carne e metallo. Se non è un cyborg, poco ci manca. Il concetto di questa sorta di superuomo meccanizzato ritorna in altri testi marinettiani. Nello scritto Contro l’amore e il parlamentarismo (1910) si parla della concezione decadente del sentimentalismo, che costituisce un peso per «la marcia dell’uomo, al quale impedisce d’uscire dalla propria umanità, di raddoppiarsi, di superare se stesso, per divenire ciò che noi chiamiamo l’uomo moltiplicato» (in De Maria (1973), 2000: 42).

Ma tale figura ritorna anche nell’articolo Contro i professori, sempre del 1910, in cui – con una mossa talmente paradossale da apparire frutto di conclamata ignoranza o aperta malafede – Marinetti prende le distanze da Nietzsche e traccia le differenze che dividono l’Übermensch dal suo Uomo moltiplicato. L’autore dello Zarathustra è qui implausibilmente descritto come un passatista grecizzante e nostalgico, il cui Superuomo nasce «dalla polvere delle biblioteche». Sarebbe sin troppo facile – ma qui piuttosto fuori tema – elencare i passi in cui Nietzsche afferma che «non tornano i greci», mostrando per l’Ellade un interesse che è sempre volontaristico e proiettato in avanti, mai meramente storiografico. È del resto tipico di Marinetti attingere a diverse fonti in modo disordinato e talora superficiale, poiché sempre filtrato dal genio “novatore”, salvo poi depistare i lettori con false genealogie mirate a rimarcare l’assoluta originalità futurista in ogni campo e disciplina. Pregi e difetti di un’avanguardia che volle essere totalizzante, senza ingombranti predecessori con cui fare i conti. Ciò che tuttavia qui ci interessa è la riproposizione del tema dell’Uomo moltiplicato in un contesto ancora diverso. Proprio parlando dell’Übermensch nietzscheano, Marinetti dichiara: «Noi opponiamo a questo Superuomo greco, nato nella polvere delle biblioteche, l’Uomo moltiplicato per opera propria, nemico del libro, amico dell’esperienza personale, allievo della Macchina, coltivatore accanito della propria volontà» (in De Maria (1973), 2000: 35).

Il 1910, insomma, sembra essere un anno segnato dalla visione della postumanità, per il poeta nato ad Alessandria d’Egitto. Ma già un anno prima, in Francia, aveva molto fato parlare di sé Mafarka le futuriste, in cui il principe arabo che dà nome all’opera concepisce, senza il concorso del ventre femminile ma con un puro sforzo di volontà, suo figlio Gazurmah, gigante alato in cui ormai carne, minerale, meccanismo sono inestricabilmente fusi. C’è, infine, un ulteriore testo in cui il fondatore del futurismo adombra la figura del suo “uomo nuovo”, metà umano e metà meccanico. Di ritorno dal fronte nel 1916, Marinetti scrive infatti un testo narcisistico e smisurato, come nel suo stile, sull’arte di sedurre le donne. Fra aneddoti surreali e consigli di dubbia efficacia – sia pur provenienti da fonte sull’argomento assai attendibile – il testo presenta anche una curiosa esaltazione sovrumanistica del mutilato di guerra. Ciò che è importante rivelare, al di là dei toni e degli argomenti tipici dell’epoca, è la visione dell’invalidità fisica come condizione di possibilità di un superamento della condizione umana. Tutti noi abbiamo presente gli sforzi caparbi dell’atleta sudafricano Oscar Pistorius per superare, con l’aiuto della tecnologia, una menomazione congenita che lo affligge dalla nascita, sforzi che hanno portato il corridore a superare nelle prestazioni gli stessi colleghi normodotati, con tutte le polemiche del caso. Ebbene, sia pur in un contesto radicalmente diverso, il discorso del padre del futurismo sembra percorrere esattamente questo percorso che guarda in direzione della postumanità.

«Donne – scrive Marinetti – il mutilato che voi bacerete, non vi apparirà mai fiacco, vinto, scettico e spento (…). Questo non è romanticismo che disprezza il corpo in nome di una astrazione ascetica. Questo è futurismo che glorifica il corpo modificato e abbellito dalla guerra (…). La chirurgia ha già iniziato la grande trasformazione. Dopo Carrel la guerra chirurgica compie fulmineamente la rivoluzione fisiologica. Fusione dell’Acciaio e della Carne. Umanizzazione dell’acciaio e metallizzazione della carne nell’uomo moltiplicato. Corpo motore dalle diverse parti intercambiabili e rimpiazzabili. Immortalità dell’uomo!» (Marinetti, (1916) 2003: 102-103).

Ma non è solo Marinetti a sognare la fusione di carne e acciaio, vita e meccanismo. Questa, ad esempio, la visione di Vasari:

Sorse un automa
Sulla testa spire di fili elettrici
Sotto la fonte – dinamo
Due fari – soli
E la bocca – megafono
Dell’automa umanato
Gridò al mondo prosternato 1

Buzzi, dal canto suo, dà questa descrizione del mondo futuro:

E fabbricate le macchine per fabbricare le macchine (…)
Una mostruosa femmina
S’accoppierà con un maschio mostruoso.
Nasceranno i Figli impossibili del Futuro.
Le membra saranno di ferro, ma eteree:
e l’energie di fuoco, ma inaccese 2

Visioni, teorie, profezie, illuminazioni di un’avanguardia per anni incompresa e che oggi, nel cuore della rivoluzione biotecnologica, ci aspetta ansiosa e febbrile sulle porte di un avvenire tutto da costruire.

Bibliografia

  • Luciano De Maria (a cura di), Filippo Tommaso Marinetti e il futurismo (1973), Mondadori, Milano 2000
  • Emilio Gentile, “La nostra sfida alle stelle”. Futuristi in politica, Laterza, Roma-Bari 2009
  • Antonietta Grippo, L’avanguardia esoterica, Literalia, Potenza 1997
  • Filippo Tommaso Marinetti, Come si seducono le donne (1916), Vallecchi, Firenze 2003
  • Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra, in Opere complete, Adelphi Milano 1968
  • Emanuele Severino, Oltre l’uomo e oltre Dio, Il melangolo, Genova 2002
  • Mario Verdone, Il futurismo, Newton & Compton, Roma 2003

Note

  • 1 Cit. in Verdone, 2003: 91.
  • 2 Ibid.

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