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Divenire

Rassegna di studi interdisciplinari sulla tecnica e sul postumano

LA RIVISTA

Presentazione

Divenire è il titolo di una serie di volumi incentrati sull'interazione tra lo sviluppo vertiginoso della tecnica e l'evoluzione biologica dell'uomo e delle altre specie, ovvero votati allo studio dei rapporti tra la tecnosfera e la biosfera. Gli autori, provenienti da diverse aree disciplinari e orientamenti ideologici, sviluppano la propria analisi con occhio attento al probabile esito finale di queste mutazioni casuali o pianificate: il postumano. Sono dunque studi che sul piano temporale spaziano nel presente, nel passato e nel futuro, mentre sul piano della prospettiva disciplinare sono aperti a idee e metodi provenienti da diverse aree di ricerca, che vanno dalle scienze sociali alle scienze naturali, dalla filosofia all'ingegneria, dal diritto alla critica letteraria.

Ogni volume ha quattro sezioni. In Attualità compaiono studi attinenti a problematiche metatecniche del presente. Genealogia è dedicata a studi storici sui precursori delle attuali tendenze transumanistiche, futuristiche, prometeiche — dunque al passato della metatecnica. In Futurologia trovano spazio esplorazioni ipotetiche del futuro, da parte di futurologi e scrittori di fantascienza. Libreria è dedicata ad analisi critiche di libri su tecnoscienza, postumano, transumanesimo.
I volumi pubblicati finora (ora tutti leggibili in questo sito):

  1. D1. Bioetica e tecnica
  2. D2. Transumanismo e società
  3. D3. Speciale futurismo
  4. D4. Il superamento dell'umanismo
  5. D5. Intelligenza artificiale e robotica

Divenire 5 (2012) è interamente dedicato all'Intelligenza Artificiale (IA).

Intelligenze artificiose (Stefano Vaj) sostiene che il tema dell'automa (esecuzione di programmi antropomorfi o zoomorfi su piattaforma diversa da un cervello biologico) resta tuttora circondato da un vasto alone di misticismo: quando non viene negata in linea di principio la fattibilità dell'IA, ne viene esagerata escatologicamente la portata. (english version)

La maschera dell'intelligenza artificiale (Salvatore Rampone) indaga gli equivoci concettuali sottostanti alla domanda se una macchina abbia intelligenza o possa pensare e spiega perché l'IA debba nascondersi sotto la maschera del Soft computing.

Il problema filosofico dell'IA forte e le prospettive future (Domenico Dodaro) Analizza il tema della coscienza  semantica mettendo in luce i suoi  aspetti corporei e considera la possibilità di implementarli in sistemi artificiali. Sono valutati sia i limiti tecnologici e computazionali della riproduzione artificiale della coscienza (intesa come una facoltà del vivente) sia i programmi di ricerca più fecondi al fine di arginarli.

Cervelli artificiali? (Emanuele Ratti) espone il progetto di ricerca forse più ardito nel campo dell'IA che emula funzioni e organi biologici: il cervello artificiale di Hugo de Garis, introducendo concetti chiave di questo settore disciplinare come rete neurale e algoritmo genetico.

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Presentazione

Automi e lavoratori. Per una sociologia dell'intelligenza artificiale (Riccardo Campa) sposta l'attenzione sull'impatto economico e sociale della computerizzazione e della robotizzazione. Quali effetti sull'occupazione e quali correttivi per massimizzare i benefici e minimizzare gli effetti indesiderati? Proiettando il tema nel futuro, vengono analizzati i possibili scenari, in dipendenza di diverse politiche (o non-politiche) dello sviluppo tecnologico.

Il nostro cervello cinese (Danilo Campanella) riporta l'origine dei calcolatori moderni all'antica Cina. Utilizzando matematica, teologia e misticismo, i cinesi elaborarono i primi rudimenti del linguaggio binario, poi rubato dagli occidentali.

Alan Turing: uno spirito transumanista (Domenico Dodaro) Sono esposte le ragioni per cui Turing può essere definito un pensatore transumanista. Il matematico inglese è in genere descritto solo come padre dell'IA tradizionalmente intesa. L'analisi dell'autore dimostra invece la sua vicinanza ai temi delle "nuove scienze cognitive" e della computazione complessa (o ipercomputazione).

Passato, presente e futuro dell'Intelligenza Artificiale (Bruno Lenzi). L'articolo mostra, su un arco temporale molto ampio, fallimenti, riuscite, pericoli e scoperte delle scienze cognitive, sottolineando che l'IA non è questione solo tecnico-scientifica, racchiude germogli e frutti maturi in ogni area del sapere, e potrebbe essere molto diversa dall'intelligenza umana.

Post-embodied AI (Ben Goertzel). L'autore, uno dei principali sostenitori dell'AI forte, analizza la questione filosofica dell'embodiment: una intelligenza artificiale forte (capace di risolvere problemi in domini nuovi, di comunicare spontaneamente, di elaborare strategie nuove) deve necessariamente avere un body?

Nanotecnologia: dalla materia alle macchine pensanti (Ugo Spezza) spiega questo ramo della scienza applicata che progetta nanomacchine e nanomateriali in molteplici settori di ricerca: biologia molecolare, chimica, meccanica, elettronica ed informatica. L'articolo presenta le applicazioni già esistenti e le fantastiche potenzialità progettuali, dai nanobot per il settore medico ai neuroni artificiali.

Verso l'Intelligenza artificiale generale (Gabriele Rossi) introduce la Matematica dei Modelli di Riferimento degli iLabs ed esplora i potenziali vantaggi di questa prospettiva alla luce di alcune questioni teoriche di fondo che pervadono tutta la storia della disciplina.

Ich bin ein Singularitarian (Giuseppe Vatinno) è una recensione di La singolarità è vicina di Ray Kurzweil.

NUMERI DELLA RIVISTA

Divenire 1. Bioetica e tecnica

INTRODUZIONE

ATTUALITÀ

GENEALOGIA

FUTUROLOGIA

LIBRERIA

Divenire 2. Transumanismo e società

INTRODUZIONE

ATTUALITÀ

GENEALOGIA

FUTUROLOGIA

LIBRERIA

Divenire 3. Speciale futurismo

INTRODUZIONE

ATTUALITÀ

GENEALOGIA

FUTUROLOGIA

LIBRERIA

Divenire 4. Il superamento dell'umanismo

INTRODUZIONE

ATTUALITÀ

GENEALOGIA

FUTUROLOGIA

LIBRERIA

Divenire 5. Intelligenza artificiale e robotica

INTRODUZIONE

ATTUALITÀ

GENEALOGIA

FUTUROLOGIA

LIBRERIA

RICERCHE

1

2

3

4

CHI SIAMO

Comitato scientifico

Riccardo Campa
Docente di metodologia delle scienze sociali all'Università Jagiellonica di Cracovia
Patrizia Cioffi
Docente di neurochirurgia all'Università di Firenze
Amara Graps
Ricercatrice di astronomia all'Istituto di Fisica dello Spazio Interplanetario
James Hughes
Docente di sociologia medica al Trinity College del Connecticut
Giuseppe Lucchini
Docente di statistica medica all'Università di Brescia
Alberto Masala
Ricercatore di filosofia all'Università La Sorbonne (Paris IV)
Giulio Prisco
Vice-presidente della World Transhumanist Association
Salvatore Rampone
Docente di Sistemi di elaborazione delle informazioni all'Università degli studi del Sannio
Stefan Lorenz Sorgner
Docente di filosofia all'Università di Erfurt
Stefano Sutti
Docente di diritto delle nuove tecnologie all'Università di Padova
Natasha Vita-More
Fondatrice e direttrice del Transhumanist Arts & Culture H+ Labs

Ait

L'AIT (Associazione Italiana Transumanisti) è un'organizzazione senza scopo di lucro con la missione di promuovere, in ambito culturale, sociale e politico, le tecnologie di potenziamento dell'essere umano.

Fondata nel 2004, è stata formalizzata mediante atto pubblico nel 2006 ed ha avviato le pratiche per ottenere il riconoscimento.

Sede legale AIT: via Montenapoleone 8, 20121 Milano

Sito internet AIT: www.transumanisti.it (>)

Pubblica questa rivista: Divenire. Rassegna di studi interdisciplinari sulla tecnica e il postumano

Curatore: Riccardo Campa

Segretaria di redazione: Nicoletta Barbaglia

Art director: Emmanuele Pilia (>)

Gruppo di Divenire su Facebook: (>)

Contatti

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L'utopia di Trotsky. Un socialismo dal volto postumano

Autore: Riccardo Campa

da: Divenire 1, Genealogia () | pdf | stampa

L'idea cardine del transumanesimo è il principio di evoluzione autodiretta consapevole. Tale principio esprime la convinzione che sia possibile e desiderabile decidere il nostro destino di specie, modificando non solo l'ambiente che ci circonda, ma anche il nostro stesso fenotipo e genotipo, attraverso strumenti tecnico-scientifici.

Leon Trotsky fu senza dubbio un sostenitore di questa idea. Tuttavia, prima di affermare che il pensatore russo fu un transumanista ante litteram, qualche cautela si rende necessaria.

Il transumanesimo è un movimento polimorfo sotto il profilo politico, filosofico, etnico e religioso, al punto che l'idea fondante viene interpretata in modi piuttosto difformi. C'è chi ha una visione dell'evoluzione tendenzialmente individualistica e chi tendenzialmente comunitaria. In termini molto generici, possiamo dire che esiste un'ala destra (liberista, capitalista) e un'ala sinistra (socialista, comunista) di questo movimento, anche se ridurre a due dimensioni l'analisi è un'evidente forzatura. Non mancano infatti comunitari di destra e individualisti di sinistra. E non mancano tentativi di sintesi e mediazione, la cosiddetta prospettiva upwing.

Sono frequenti le dispute tra le varie anime del movimento per stabilire quale di esse rappresenti 'il vero transumanesimo'. Perciò, un saggio incentrato su Trotsky, in questa cornice, è naturalmente destinato a generare controversie. Ci sono autorevoli esponenti del movimento transumanista che non esitano a mettere Trotsky nel Pantheon. Tra questi, spicca James Hughes, sociologo americano di orientamento socialdemocratico che ha coperto per diversi anni la carica di direttore esecutivo della WTA. In Citizen Cyborg, Hughes (2004: 127) non ha problemi ad affermare che «il rivoluzionario russo in esilio Leon Trotsky espresse l'aspirazione transumanista della sinistra marxista». Ma c'è anche chi ignora o esclude deliberatamente lo statista russo dalla genealogia del transumanesimo. Uno dei fondatori della WTA, Nick Bostrom (2005), per esempio, non lo cita nella sua breve storia del movimento. Né Trotsky può godere di particolare considerazione nell'ambito di una organizzazione come l'Extropy Institute, considerato l'orientamento anarco-capitalista del fondatore Max More.

Personalmente, vedo il termine 'transumanista' come sinonimo di autoevoluzionista, o poco meno. 1 In questa prospettiva mi trovo ad essere molto inclusivo riguardo ai candidati transumanisti del presente e del passato. L'evoluzione autodiretta è in fondo un'idea che ha attraversato tutto lo spettro delle proposte politiche del XIX e del XX secolo, influenzando socialisti fabiani, futuristi italiani, fascisti nietzscheani, comunisti sovietici e liberisti americani. In questo grande contenitore, c'è dunque posto anche per quella sinistra marxista che si ispira a Leon Trotsky.

Epperò, il costante tentativo di dare al termine 'transumanesimo' una connotazione politicamente corretta, collegandolo per esempio all'idea di democrazia liberale o al sistema di produzione capitalistico, mi induce ad adottare una strategia diversa. Non affermerò con matematica certezza che Trotsky fu un precursore del movimento transumanista nel suo complesso. Affermerò piuttosto che egli fu il precursore di una peculiare interpretazione del transumanesimo diventata nota con il termine 'tecnoprogressismo', presto abbreviato in 'tecnoprog'. Che questa rappresenti l'interpretazione 'corretta' del transumanesimo, o più modestamente una legittima corrente al suo interno, o al contrario un movimento eretico a se stante è questione che lascio volentieri al giudizio del lettore.

Da Marx a Trotsky

La rivoluzione industriale dei secoli XVIII e XIX fu accompagnata da violente rivolte operaie, di matrice luddista. Espulsi dal processo produttivo a causa dell'impiego delle macchine, o costretti a mansioni meccaniche e ripetitive, molti operai hanno istintivamente visto la soluzione del problema nella distruzione delle macchine e nella devastazione delle fabbriche.

Karl Marx, pur comprendendo le ragioni dei luddisti, valuta invece positivamente il progresso tecnico e scientifico. È convinto che i problemi che caratterizzano i rapporti tra l'uomo – in special modo l'operaio – e la tecnica risiedano nella gestione capitalistica dei mezzi di produzione. È convinto che il passaggio alla società comunista, attraverso la socializzazione delle macchine e degli stabilimenti, porta con sé il superamento dei problemi. Anzi, grazie alla tecnica, l'umanità potrebbe addirittura liberarsi definitivamente dalla servitù del lavoro, delegando alle macchine lo scambio organico con la natura. In altre parole, Marx non ha mai disprezzato la tecnica, vedendo anzi la superiorità produttiva della macchina sul cavallo nel fatto che la prima può essere sostituita pezzo a pezzo, il secondo no.

Egli criticava la società borghese, ma non al punto di preferirle le società feudali o primitive. Al contrario di alcuni comunisti odierni, di orientamento primitivista o neoluddista, Marx vedeva la società industriale borghese e tutto ciò che essa aveva introdotto (diritti civili e politici, rivoluzione scientifica, esplorazioni, scoperte tecnologiche) come un progresso decisivo dell'umanità, un patrimonio dal quale si doveva partire per costruire un mondo ancora migliore.

Questa visione informa anche il pensiero dei marxisti del primo Novecento, ovvero di quegli intellettuali che rielaborano la dottrina marxiana per adattarla ai mutamenti introdotti dalla seconda rivoluzione industriale, e in particolare di Trotsky – il pensatore che qui prendiamo in considerazione come caso paradigmatico. La comparsa dell'elettricità ha ripercussioni anche sulla politica, tanto che Trotsky (1958: 192) arriva a dire che la differenza tra socialismo e comunismo è soltanto in un differente grado di sviluppo tecnologico. Queste le sue parole: «Per il passaggio dal socialismo al comunismo non sarà necessaria nessuna rivoluzione perché il passaggio dipende unicamente dal progresso tecnico della società».

Si tratta di una tesi in linea con il noto slogan di Lenin, per il quale «il comunismo è il potere sovietico più l'elettrificazione di tutto il paese». Non si discosta da questa linea prometeica Joseph Vissarionovic Giugascvilij, detto Stalin – l'Uomo d'Acciaio. Fu dittatore spietato e altrettanto spietato modernizzatore. Ben noti sono i suoi piani quinquennali, il cui scopo consisteva «nel far passare il nostro paese... a una tecnica nuova... nel trasformare l'U.R.S.S. da paese agrario e debole, dipendente dai capricci dei paesi capitalistici, in un paese industriale e potente, interamente libero e indipendente dai capricci del capitalismo mondiale» (Stalin 1933). Tecnica, industria, potenza. Queste sono le parole chiave dei discorsi di Stalin. E, negli anni Trenta, l'U.R.S.S. era talmente fiera dei suoi rapidi progressi che spalancava le porte a visitatori e giornalisti. E i giornali di tutto il mondo, anche quelli borghesi, erano pieni di ammirazione. Avevano visto la Russia dello Zar e ora trovavano un paese completamente cambiato in soli quattro 2 anni. Scriveva, per esempio, la rivista borghese americana Nation, nel novembre 1932 (ovvero quando gli USA cercavano ancora di uscire faticosamente dalla crisi del 1929).

I quattro anni del piano quinquennale hanno apportato in verità delle realizzazioni magnifiche. L'Unione Sovietica ha lavorato con una intensità da tempi di guerra per realizzare il compito creativo di costruire le basi di una nuova vita. Il volto del paese si trasforma letteralmente, in modo che diventa impossibile riconoscerlo... Ciò è vero per Mosca con le sue centinaia di vie e di corsi da poco asfaltati, di nuovi edifici, di nuovi sobborghi e un anello di nuove fabbriche alla periferia. Ciò è vero anche per le città meno importanti. Nuove città sono sorte nelle steppe e nei deserti, e non poche città senza importanza, ma almeno cinquanta città con una popolazione da 50 a 250 mila abitanti. Tutte sono sorte negli ultimi quattro anni, ognuna di esse è il centro di una nuova azienda o di una serie di aziende costruite per lo sfruttamento delle ricchezze naturali. Centinaia di nuove centrali elettriche locali e numerosi giganti come la centrale elettrica del Dniepr fanno gradualmente diventare una realtà la formula di Lenin: «Il socialismo è il potere sovietico più l'elettrificazione»... L'Unione Sovietica ha organizzato la produzione in serie di un numero infinito di oggetti, che la Russia prima non aveva mai prodotto: trattori, mieto-trebbiatrici, acciai fini, caucciù sintetico, cuscinetti a sfere, potenti motori Diesel, turbine di 50 mila chilowatt, materiale telefonico, macchine elettriche per l'industria mineraria, aeroplani, automobili, biciclette e centinaia di tipi di nuove macchine. Per la prima volta nella storia la Russia produce alluminio, magnesite, apatite, iodio, potassio e molti altri prodotti preziosi. I punti di riferimento nelle pianure sovietiche non sono più le croci e le cupole delle chiese, ma gli elevatori di grano e le torri dei sili. I colcos costruiscono case, stalle, porcili. L'elettricità penetra nel villaggio, la radio e il giornale lo hanno conquistato. Gli operai imparano a lavorare sulle macchine più moderne. I giovani contadini costruiscono e mettono in azione macchine agricole più grosse e più complicate di quelle che l'America non abbia mai viste. La Russia comincia a 'pensare per macchine'. La Russia passa rapidamente dal secolo del legno al secolo del ferro, dell'acciaio, del cemento e dei motori.

La tematica della tecnica e dell'uomo nuovo è una costante nella pubblicistica marxista di inizio secolo. Guardando alle posizioni epimeteiche di alcuni intellettuali militanti della 'nuova sinistra' 3 , il contrasto con i classici del socialismo – a partire da Marx, Engels, Lenin e Trotsky – appare più che evidente. Il socialismo originario, essendo una grande visione prometeica dell'uomo, non si poneva a difesa di modi di vita tecnologicamente arretrati, soltanto perché la minaccia ad essi giungeva dal capitalismo arrembante. Il socialismo originario difendeva i deboli dallo sfruttamento, ma non chiudendoli in un ghetto neolitico o feudale. Non la politica della riserva, ma la politica dell'emancipazione, della dignità, dell'integrazione internazionale, del progresso scientifico e dell'innovazione tecnologica – questa era, per i marxisti del passato, la strada che l'umanità doveva seguire.

Nell'immaginario degli intellettuali marxisti, il socialismo realizzato non era infatti soltanto una società senza classi, ma anche una società scientificamente e tecnologicamente avanzata, più di ogni altra storicamente esistita. In questo rispetto, si notano legami profondi con il futurismo.

Socialismo trotzkista e futurismo

Almeno due temi accomunano il socialismo trotzkista al futurismo: il dinamismo (o fuga dalla noia) e la tecnofilia. Scrive Trotsky in "Arte rivoluzionaria e arte socialista" (1958: 95): «Io non so se per il momento abbiamo bisogno sulle scene della biomeccanica, cioè se la biomeccanica si pone in prima linea come urgenza storica…». Trotsky sta parlando del teatro. Dice di non sapere se la biomeccanica debba diventare già da ora un tema dell'arte teatrale, ma – come vedremo – è convinto che in futuro la biomeccanica sarà una protagonista assoluta della vita sociale e non solo dell'arte.

Per quanto riguarda la società, Trotsky (1958: 106) profetizza un futuro eccitante: «La vita quotidiana, se perderà la sua natura elementare, cesserà pure di essere stagnante. L'uomo, che sarà in grado di spostare i fiumi e le montagne, di costruire palazzi popolari sulla cima del monte Bianco o nel fondo dell'Atlantico, saprà pure assicurare alla sua vita quotidiana non solo la ricchezza, la varietà e l'intensità, ma anche la dinamica più elevata. L'involucro della vita quotidiana, appena sorto, sarà infranto dall'affluire di sempre nuove invenzioni e conquiste tecnico-culturali. La vita del futuro non sarà monotona».

Ci pare, insomma, che i legami del primo socialismo con il futurismo siano piuttosto evidenti. I giudizi positivi di intellettuali comunisti come Gramsci, Lenin e Trotsky, nei confronti del movimento futurista, non possono essere trattati alla stregua di una svista, di un equivoco. Tali giudizi non vengono infatti riveduti nella loro sostanza nemmeno dopo l'adesione di Marinetti al fascismo. Non vengono riveduti, perché quelli che per i comunisti sono i difetti del futurismo italiano (l'origine borghese, l'egocentrismo, il nazionalismo) sono sempre stati evidenziati a dovere, sin dal principio. Quello che continua ad unire il comunismo al futurismo è lo spirito prometeico rivoluzionario. Uno spirito a cui non sono estranei il fascismo italiano e il nazional-socialismo tedesco.

Quando Lenin incontra il direttore amministrativo dell'Avanti!, gli prospetta una maggiore vicinanza dei comunisti bolscevichi ai futuristi, ai fascisti e ai superomisti dannunziani, piuttosto che ai socialdemocratici. Nell'occasione, pronuncia infatti una frase destinata a passare alla storia: «Voi socialisti non siete dei rivoluzionari. In Italia ci sono soltanto tre nomi che possono fare la rivoluzione: Mussolini, D'Annunzio, Marinetti» (Tallarico 2002).

Anche Trotsky (1958: 23) sottolinea a chiare lettere la vicinanza spirituale di comunisti e futuristi, elogiando l'atteggiamento dinamico di questi ultimi: «Il futurismo è contro la mistica, contro la divinazione passiva della natura, contro la putredine aristocratica e d'altro genere, contro la trasognatezza e il piagnucolare, è per la tecnica, per l'organizzazione scientifica, per il piano, per la volontà, per il coraggio, per la rapidità, per la precisione, per l'uomo dotato di tutte queste qualità. Il legame della 'rivolta' estetica con quella morale è dato immediatamente: l'una come l'altra si offre interamente all'esperienza della vita dell'attiva, giovane, non ancora addomesticata intelligenza della bohème creatrice di sinistra».

Si noti che Trotsky interpreta il futurismo come un'estetica che si fa politica, e precipuamente politica della tecnica. Non è la prima volta che emerge un movimento di ribellione all'interno del mondo della cultura, teso alla creazione di un nuovo stile. La novità del futurismo è di collegarsi esplicitamente agli avvenimenti politici, assumendo un più deciso ed esplicito ruolo etico e sociale. Trotsky (1958: 23) non manca di evidenziare questa novità: «…osserviamo ripetutamente la formazione del nuovo stile derivata da una ribellione intellettuale. Con ciò, di solito, la cosa era finita. Ma questa volta il futurismo è stato raccolto dalla rivoluzione proletaria e spinto avanti. I futuristi sono divenuti comunisti. Con ciò si sono posti sul piano di questioni e di relazioni più profonde…».

Evidentemente, qui, l'ideologo comunista si riferisce a Vlamidir Majakovskij e ai futuristi russi, che hanno ufficialmente aderito alla rivoluzione bolscevica. Ma Trotsky conosce bene e apprezza anche i futuristi italiani, nonostante abbiano compiuto una scelta politica diversa. Nel 1922, scrive una lettera a Gramsci, chiedendogli di Marinetti (Wainstein 1991). Il giudizio di Gramsci mette in luce la spontanea sintonia tra socialismo e futurismo, nonostante l'adesione al fascismo del suo fondatore, legato a Mussolini da personale amicizia. Così si esprime Gramsci, nella risposta:

Prima della mia partenza dall'Italia la sezione di Torino del Proletkult aveva chiesto a Marinetti, in occasione dell'apertura di una mostra di quadri di lavoratori membri dell'organizzazione, di illustrarne il significato. Marinetti ha accettato volentieri l'invito, ha visitato la mostra insieme con i lavoratori e ha espresso quindi la sua soddisfazione per essersi convinto che i lavoratori avevano per le questioni del futurismo molta più sensibilità che non i borghesi. Prima della guerra i futuristi erano molto popolari tra i lavoratori. La rivista Lacerba, che aveva una tiratura di ventimila esemplari, era diffusa per i quattro quinti tra i lavoratori. Durante le molte ma-nifestazioni dell'arte futurista nei teatri delle grandi città italiane capitò che i lavoratori difendessero i futuristi contro i giovani mezzi aristocratici o borghesi, che si picchiavano con i futuristi (Cfr. Trotsky 1958: 36).

Ma Gramsci non si limita ad esprimere questi giudizi in scritture private. Rende noto il suo apprezzamento per le iniziative dei futuristi anche pubblicamente, sulle colonne di Ordine Nuovo, dove scrive: «I futuristi hanno svolto questo compito nella cultura borghese: hanno distrutto, distrutto, distrutto; hanno avuto la concezione nettamente rivoluzionaria, assolutamente marxista, quando i socialisti non si occupavano neppure lontanamente di simile questione». E aggiunge: «I futuristi hanno avuto il coraggio di distruggere, nel campo della cultura borghese, gerarchie spirituali, pregiudizi, idoli, tradizioni irrigidite... hanno avuto la concezione netta e chiara che l'epoca nostra, l'epoca della grande industria, della grande città ope-raia, della vita intensa e tumultuosa, doveva avere nuove forme di arte, di filosofia, di costume, di linguaggio» (Gramsci 1921).

Queste testimonianze stanno ad indicare che il legame tra le varie forme di progressismo, nonostante le differenze, fu profondo e spontaneo. I marxisti immaginano una società senza classi, atea, affrancata dal bisogno materiale, e ricca di cultura artistica, scientifica e tecnica. Ma non si fermano qui. Trotsky ritiene che il bene dell'umanità si realizzerà pienamente soltanto attraverso il proprio superamento, mostrando una sorprendente vicinanza alla filosofia di Nietzsche.

Socialismo trotzkista e superomismo nietzscheano

Il fine ultimo della società iper-tecnologica sognata da Trotsky è il superuomo. Secondo lo statista russo, l'uomo è un essere disarmonico, sul piano psichico e fisico. È legato al benessere terreno, ma allo stesso tempo è pronto a credere ad ogni fantasia ultraterrena per paura della morte. Si pone dunque il problema di migliorarlo, non solo sul piano psicologico, ma anche sul piano della funzionalità organica e dell'estetica. L'uomo nuovo, il superuomo del futuro, dovrà eccellere anche in bellezza.

Ancora più. L'uomo finirà con l'occuparsi seriamente di armonizzare se stesso. Egli si porrà come compito di assicurare al movimento dei suoi organi ─ per mezzo del lavoro, del moto, del gioco ─ un più elevato grado di chiarezza, di funzionalità, di sobrietà e con ciò stesso anche di bellezza. Egli proverà il piacere di dominare i processi inconsci del suo organismo, come la respirazione, la circolazione del sangue, la digestione e la fecondazione e di sottoporli, entro certi limiti, al controllo della ragione e della volontà. Anche la vita fisiologica sarà oggetto di una esperienza collettiva. Il genere umano, il cristallizzato Homo sapiens, si muterà radicalmente e per opera propria diverrà oggetto dei più complicati metodi di selezione artificiale e di addestramento fisico e psichico. Ciò rientra nel campo dell'evoluzione… (Trotsky 1958: 106).

Trotsky vede una continuità tra progresso politico-culturale e leggi dell'evoluzione biologica, perché è convinto che l'evoluzione possa e debba essere auto-diretta dall'uomo. Il destino dell'uomo è superare coscientemente se stesso, ma per passare dall'evoluzione etero-diretta a quella auto-diretta è necessario raggiungere un certo livello di sviluppo tecnico e un certo assetto sociale. Secondo l'intellettuale russo, il primo passaggio storico fondamentale è quello dalla 'routine barbarica' alla 'tecnica scientifica'. Sembra che si riferisca alla rivoluzione industriale, attraverso la quale l'uomo sostituisce la produzione basata sulle tecniche tradizionali, tramandate di padre in figlio, con la produzione basata sulla tecnologia, ideata e perfezionata nei politecnici. Nel contempo, a livello dell'ideologia, l'uomo sostituisce la religione con la scienza. In questo modo, bandisce dalle forze della produzione, e nel contempo dalla sua visione del mondo, 'le potenze elementari'. Sin qui Trotsky sembra accettare la lettura positivistica della storia.

Successivamente, si registrano progressi sul piano della politica. Con le rivoluzioni liberali, democratiche e socialiste vengono rovesciate le monarchie e instaurate le democrazie, il parlamentarismo razionalistico e, infine, la dittatura dei Consigli, che Trotsky definisce 'trasparentemente chiara'. A questo punto si registrano nuovi progressi nell'economia, con l'organizzazione socialista della stessa. L'economia di piano permette un radicale mutamento della vita famigliare e della vita quotidiana. E qui si arriva al punto fondamentale, sfuggito a molti interpreti del marxismo: il superamento delle classi, attraverso la riorganizzazione dell'economia, non costituisce per Trotsky il punto d'arrivo del movimento progressivo della storia. Con il socialismo non si registra la fine della storia, perché, giunti a questo punto, il compito dei rivoluzionari diventa quello di legare il progresso sociale direttamente all'evoluzione biologica.

Il genere umano non avrà cessato di strisciare dinanzi a Dio, ai re e al capitale per capitolare dinanzi alle sorde leggi dell'ereditarietà e alla cieca scelta della specie. L'uomo, divenuto libero, vorrà raggiungere un maggiore equilibrio nelle funzioni dei suoi organi, nello sviluppo uniforme e nella utilizzazione dei suoi tessuti per ridurre la paura della morte entro i confini di una reazione normale dell'organismo contro il pericolo, poiché non c'è alcun dubbio che la straordinaria disarmonia anatomica e fisiologica del corpo umano, cioè l'assoluta sproporzione fra lo sviluppo e il logorio degli organi e dei tessuti, conferisce all'istinto vitale la forma angosciata, morbosa, isterica di paura della morte, che intorpidisce l'intelletto e alimenta le umilianti fantasie dell'al di là (Trotsky 1958: 107). 4

Dopo avere profetizzato che l'essere umano riuscirà anche a superare il sentimento religioso e la paura della morte, grazie a modifiche biomeccaniche del proprio organismo, Trotsky (1958: 107) conclude affermando che l'«uomo si porrà il compito di diventare padrone dei suoi sentimenti, di elevare i suoi istinti al livello della coscienza, di renderli di una chiarezza cristallina, di portare i fili conduttori della volontà oltre le soglie della coscienza e con ciò di innalzare se stesso a un livello più elevato di tipo socio-biologico o, se si vuole, un superuomo».

Ecco infine la parola magica: il superuomo. Trotsky la pronuncia pur sapendo che essa, sulla scorta del pensiero di Nietzsche, è un elemento fondamentale del lessico e dell'ideologia della destra fascista e nazionalista. Evidentemente, prima degli esiti catastrofici delle dittature nazifasciste, della seconda guerra mondiale, dell'eugenetica realizzata, dei campi di sterminio, si trattava di un concetto ancora nobile, anche per la sinistra.

Naturalmente, rimangono distanze ideologiche riguardo la questione sociale, l'emancipazione della classe operaia. Tuttavia, anche su questo punto, non vediamo un abisso tra Nietzsche e Trotsky. Al contrario di quello che è lo stereotipo del comunismo, Trotsky non sta prospettando una società completamente egualitaria, ovvero caratterizzata da totale immobilità, appiattimento, omologazione. Questo era l'incubo di Nietzsche e di altri critici del comunismo. Ma è anche l'incubo del nostro.

L'intellettuale russo (1958: 88-89) si chiede: «Ma un eccesso di solidarietà non nasconde il pericolo che l'uomo degeneri in un essere gregario sentimentalmente passivo, come temono i seguaci di Nietzsche?». Dunque, Trotsky si confronta direttamente con il filosofo tedesco, e dal confronto emerge una certa consonanza di valori. La differenza sta nella previsione dei fatti, non tanto nella loro valutazione. Così risponde alla domanda che si è posto: «Niente affatto. La forza potente dell'emulazione, che nella società borghese acquista il carattere della concorrenza di mercato, nell'ordine sociale socialista non sparirà, ma, per parlare con il linguaggio della psicanalisi, si sublimerà, cioè assumerà una forma più elevata e più feconda: si porrà sul piano della lotta per le proprie opinioni, i propri progetti, i propri gusti. Via via che la lotta politica si esaurirà – di lotta politica non ce ne sarà nella società senza classi – le passioni liberate si indirizzeranno sul piano della tecnica e della costruzione».

Insomma, il comunismo è inteso come un futurismo al quadrato, nel senso che in questo tipo di società (per il momento soltanto idealizzata) tutte le energie competitive vengono indirizzate verso l'innovazione scientifica, tecnologica, artistica. Le persone più innovative, creative, dinamiche emergono, si elevano al di sopra delle altre, in qualche modo dominano la scena e decidono la direzione futura della società, ma sempre attraverso forme di partecipazione collettiva. La differenza con le altre società storicamente esistite è che il 'dominio' è di tipo puramente spirituale, non basato sulla forza delle armi o sulla forza del denaro, sulle differenze di sangue o di censo. Gli spiriti superiori si elevano sulle masse in termini di virtù dianoetiche e ricevono come compenso fama, gloria, onore, in luogo del vil denaro.

Si badi che lo stesso Nietzsche, pur nella sua avversità al socialismo, riconosce le ragioni della ribellione del proletariato proprio nel fatto che le gerarchie delle società capitalistiche sono costruite sulla base del censo, piuttosto che sul valore intellettuale e morale dei capi. «È raro che la sottomissione a persone potenti, che incutono timore, e sono magari anche orribili, a tiranni e comandanti, risulti così penosa come la sottomissione a persone ignote e poco interessanti, come sono tutti i grandi dell'industria: nel datore di lavoro, infatti, il lavoratore vede soltanto un cane d'uomo, astuto, sfruttatore, che specula su ogni necessità, i cui nomi, figura, costumi e fama gli sono del tutto indifferenti».

Secondo Nietzsche, tra le masse non sarebbe nato il socialismo, se il potere fosse rimasto agli aristocratici. Il che è un po' come dire che non sarebbe nato il socialismo, se non ci fosse stata la rivoluzione borghese e industriale. Su questa 'teoria' concorderebbe anche Marx. Ne La Gaia scienza, il profeta del superuomo si mostra infatti persuaso che le masse sono pronte ad ogni schiavitù, se si convincono che i superiori sono legittimati a comandare. «L'uomo più volgare sente che la distinzione non si può improvvisare e che in essa egli deve venerare il frutto di lunghe epoche; ma l'assenza di superiorità e la nota volgarità dei fabbricanti, con le loro mani rosse e grasse, gli fanno pensare che soltanto il caso e la fortuna abbiano sollevato l'uno sull'altro». Perciò, anche i lavoratori tentano la sorte, si ribellano, e così «comincia il socialismo» (Nietzsche 1996: 87-88).

Trotsky sembra familiare con queste idee, pur non condividendo la nostalgia di Ancient Régime che emana dagli scritti nietzscheani. Che Trotsky non stia pensando ad una società livellata, in termini di genialità, bellezza, forza, intelligenza, ma semplicemente spostata nel suo complesso verso l'alto, lo si deduce da questo passo: «L'uomo diverrà incomparabilmente più forte, più saggio, più acuto. Il suo corpo si farà più armonico, i suoi movimenti più ritmici, la sua voce più musicale; le forme dell'essere acquisteranno una dinamica rappresentatività. La media dell'umanità sarà al livello di un Aristotele, di un Goethe, di un Marx. Oltre queste altezze si eleveranno nuove vette» (Trotsky 1958: 107).

La media dell'umanità futura sarà al livello dei geni del presente e del passato. Ma insieme agli uomini ci saranno i superuomini, le nuove vette. E il loro rapporto non sarà improntato soltanto sulla cooperazione, ma anche sulla lotta. Questi uomini superiori guide-ranno fazioni, partiti, movimenti, rendendo permanente lo stato di rivoluzione.

Questa interpretazione 'inegualitaria' del comunismo non è isolata all'interno del movimento marxista. Come nota lo scienziato comunista e proto-transumanista J.B.S. Haldane (1949), «il dogma dell'uguaglianza umana non è parte del comunismo... la formula del comunismo: 'da ognuno secondo la sua abilità, a ognuno secondo i suoi bisogni', sarebbe insensata se le abilità fossero uguali». 5

In definitiva, la struttura gerarchica, militare e tecnologica del socialismo reale non fu affatto un accidente storico, come certa pubblicistica post-sessantottina vorrebbe farci credere. Né Trotsky faceva eccezione all'idea di gerarchia e di ordine, tanto che proprio a lui si deve la creazione e l'organizzazione dell'Armata Rossa – una struttura che fu ben più di un esercito. Come nota John G. Wright (1941), l'Armata Rossa fu in realtà un'organizzazione politica orientata a sostenere l'innovazione tecnologica e concepita da Trotsky proprio come asse portante di tutto il sistema sociale sovietico. In due aspetti principali si distingueva infatti dagli eserciti 'borghesi'. Innanzitutto, «il fiore della gioventù e della terra riceveva nei suoi ranghi non solo l'addestramento militare, ma anche l'educazione politica e culturale». In seconda istanza, «i Red soldiers ricevevano parte del loro addestramento negli stabilimenti industriali della difesa e, conseguentemente, in quelli più tecnologicamente avanzati». Con questa strategia pedagogica, oltre ad istruire militarmente le masse contadine, il partito le affrancava dal «barbarismo della vita rurale... [preparando] il terreno per i futuri successi dell'industrializzazione» (Wright 1941).

Una democrazia dei progetti

Sembra allora evidente che Trotsky non sta prospettando la sostituzione totale della competizione con la cooperazione, o l'eliminazione di ogni ordine gerarchico, ma una forma nuova di competizione, di ordine gerarchico, di partecipazione popolare. Quello che prospetta è una sorta di democrazia dei progetti, da contrapporre alla falsa democrazia borghese.

«Ogni aspetto della vita: la coltivazione del suolo, la pianificazione delle case di abitazione, la costruzione di un teatro, i metodi di educazione sociale della prole, la soluzione dei problemi scientifici, la creazione di un nuovo stile interesseranno nel modo più vivo ciascuno singolarmente e tutti collettivamente. Gli uomini si divideranno in 'partiti' sulla questione di un nuovo canale gigantesco o sulla distribuzione delle oasi del Sahara – si porrà anche una questione del genere – sulla regolamentazione delle osservazioni meteorologiche, su un nuovo teatro, su un'ipotesi chimica, sui diversi indirizzi musicali, sull'organizzazione migliore dello sport. Questi raggruppamenti non saranno appestati da nessun egoismo di classe o di casta. Tutti saranno interessati in uguale misura a rendere dei servigi alla collettività. La lotta assumerà un carattere puramente spirituale. Non avrà niente a che fare con la ricerca del profitto, con la volgarità, con il tradimento e con la corruzione, con tutto ciò che costituisce l'essenza della 'concorrenza' nella società divisa in classi. Non per questo, però, la lotta sarà meno eccitante, meno drammatica, meno appassionata» (Trotsky 1958: 89).

Il discorso vale anche per l'arte. Scrive Trotsky (1958: 89-90) «Le scuole estetiche si raggrupperanno a loro volta nei loro 'partiti', cioè in raggruppamenti basati sulle caratteristiche, sui gusti e sugli indirizzi spirituali. In queste lotte disinteressate e intense, sulla base sempre crescente della cultura, la personalità umana si svilupperà in tutti i sensi e si affinerà con una inestimabile qualità fondamentale: di non essere mai contenta del risultato conseguito. Davvero non abbiamo nessun motivo di temere che nella società socialista la per-sonalità venga addormentata o subisca una prostrazione».

Le lotte disinteressate e intense riguardano tutti i settori della cultura: la tecnologia, la scienza pura, l'arte, lo sport. Dunque, sembra di capire che per il pensatore russo la scienza, almeno sul piano prescrittivo, debba essere disinteressata, cioè non ispirata da brama di guadagno ma dalla volontà di servire la collettività. Secondo Trotsky, è proprio la società socialista, con l'eliminazione delle classi e della competizione economica, a permettere l'affermazione di una scienza davvero disinteressata.

Tuttavia, Trotsky mette sistematicamente maggiore enfasi sulla tecnologia e sulla scienza applicata, piuttosto che sulla scienza pura. Come si concilia questo appello all'utilità, al servizio reso alla collettività, con la ricerca fine a se stessa, ossia con la scienza disinteressata? Che le applicazioni tecnologiche siano un elemento centrale della visione del mondo di Trotsky (anche se non necessariamente trotzkista, giudicando dagli atteggiamenti luddisti di molti seguaci odierni del pensatore russo) è piuttosto evidente.

Il 27 settembre 1925, Trotsky (1958: 174) pronuncia un discorso dal titolo "Marxismo e scienza", atto a celebrare il chimico russo Mendeleev e, nel contempo, il bicentenario della fondazione dell'Accademia delle scienze. Nell'occasione, dice: «La scienza, nel suo complesso, è stata diretta verso la conquista della conoscenza della realtà, la ricerca delle leggi dell'evoluzione e la scoperta delle proprietà e delle qualità della materia allo scopo di acquistare un sempre maggiore dominio su di essa [enfasi nostra]». Siamo di fronte ad un giudizio di fatto, una descrizione: la scienza nasce per dominare la natura. «L'esigenza di conoscere la natura è imposta all'uomo dalla necessità di subordinare la natura a se stesso». È esattamente il contrario di quanto sosteneva Aristotele, il quale legava la nascita della scienza all'ozio delle classi aristocratiche, e non ai bisogni materiali dell'uomo. La differenza di prospettiva è data dal fatto che l'attenzione dell'intellettuale russo si concentra maggiormente sulle premesse e sugli esiti della rivoluzione industriale.

Se in "Arte rivoluzionaria e arte socialista", Trotsky aveva prescritto il carattere disinteressato della scienza, in "Marxismo e scienza" insiste molto sul carattere utilitario della scienza, sia in termini descrittivi che prescrittivi. Permane dunque il dubbio di una contraddizione. Lo stesso tipo di contraddizione sembra apparire anche negli scritti di Mendeleev, e Trotsky non può non accorgersene. «Mendeleev non si stancava mai di ripetere che il fine della scienza era 'l'utilità'. In altre parole, egli affrontava la scienza dal punto di vista utilitario. Al tempo stesso, come sappiamo, egli sottolineava il carattere disinteressato della ricerca scientifica. Perché, in particolare, qualcuno dovrebbe creare nuove rotte commerciali per raggiungere il Polo Nord? Perché raggiungere il Polo è una ricerca disinteressata suscettibile di sviluppare per la ricerca scientifica passioni di tipo sportivo. Non c'è una contraddizione tra questo e l'affermazione che secondo cui il fine della scienza è l'utilità?».

Questo è esattamente quello che ci chiediamo noi. Dato che abbiamo dedicato un intero libro 6 a questo problema, la risposta è quanto mai attesa. E Trotsky (1958: 193) risponde in modo perentorio: «Niente affatto. La scienza è una funzione della società e non di un individuo. Dal punto di vista storico sociale, la scienza è utilitaria. Ma ciò non significa in alcun modo che ogni scienziato affronti i problemi della ricerca da un punto di vista utilitario. No! Nella maggioranza dei casi gli scienziati sono spinti dalla loro passione per la conoscenza, e più una scoperta è significativa, meno il suo autore è capace, in generale, di prevederne le possibili applicazioni pratiche. Così la passione disinteressata di un ricercatore non contraddice il significato utilitario di ciascuna scienza più di quanto il sacrificio personale di un combattente rivoluzionario non contraddice i fini utilitari delle esigenze di classe che egli serve».

Dunque, cercando di superare l'apparente contraddizione, l'intellettuale russo chiarisce in dettaglio la propria concezione dell'ethos scientifico. Egli separa il piano psicologico individuale dal piano sociologico collettivo. Che la scienza sia utilizzata per cambiare la società è un fatto storico evidente, una realtà sotto gli occhi di tutti. Che questo debba necessariamente dipendere da un atteggiamento utilitario dello scienziato è invece un errore. Sul piano della psicologia individuale, lo scienziato è spesso disinteressato, compie scoperte di cui lui stesso non vede l'utilità e che, solo in un secondo momento, gli ingegneri riescono a tradurre in tecnica. Ma anche quando lo scienziato lavora in vista di un'applicazione, resta disinteressato nella misura in cui individua come beneficiario della stessa il consorzio umano e non se stesso. Dunque, l'altruismo, la filantropia, l'impegno sociale sono visti come aspetti del disinteresse. È in questo senso specifico che la scienza è vista da Trotsky come una funzione della società. Passando dalla dimensione descrittiva a quella prescrittiva, Trotsky (1958: 193) chiude il cerchio.

Mendeleev era capace di conciliare perfettamente la sua passione per la scienza in se stessa con l'incessante preoccupazione dell'elevamento del potenziale tecnico dell'umanità. È per questo che le due ali di questo congresso – i rappresentanti dei settori teorico e applicato della chimica – hanno uguale diritto di cittadinanza sotto la bandiera di Mendeleev. Noi dobbiamo educare la nuova generazione di scienziati nello spirito di questo armonioso coordinamento della pura ricerca scientifica con i compiti industriali. La fede di Mendeleev nelle possibilità illimitate della conoscenza, nella previsione e nel dominio della materia, dovrà divenire il credo scientifico dei chimici della patria socialista. Il fisiologo tedesco Du Bois-Reymond una volta considerava il pensiero filosofico come qualcosa di remoto dalla scena della lotta di classe e come caratterizzato dal motto: Ignoramus et ignorabimus! Cioè, noi non sapremo mai, non comprenderemo mai! E il pensiero scientifico, che lega la sua sorte a quella della nuova classe, risponde: «Voi mentite. Non esiste l'impenetrabile per il pensiero cosciente! Noi raggiungeremo ogni cosa! Noi domineremo ogni cosa! Noi ricostruiremo ogni cosa!»

Non c'è espressione di spirito prometeico più forte di quella incarnata dall'ultima frase: penetreremo, domineremo, ricostruiremo ogni cosa. Un tale programma potrebbe apparire ingenuo, considerati i limiti cognitivi degli esseri umani, ma non deve sfuggire il fatto che Trotsky non dice che gli uomini comprenderanno ogni cosa, domineranno ogni cosa. È il pensiero cosciente il protagonista di questa scalata al cielo. Un pensiero cosciente che raggiungerà la sua forma perfetta soltanto nel superuomo.

Bibliografia

  • Campa R. (2007), Etica della scienza pura, Sestante Edizioni, Bergamo.
  • Gramsci A. (1958), "Una lettera di Antonio Gramsci a Trotsky", 08/09/1922, in Trotsky L., Letteratura, arte, libertà, Swarz, Milano.
  • Gramsci A. (1921), “Marinetti rivoluzionario?”, Ordine Nuovo, 5/01/1921. J.B.S. Haldane (1949), "Darwin on Slavery" Daily Worker (London) Nov. 14, 1949.
  • Wright J. G. (1941), "Trotsky and the Red Army", Fourth International, Vol. 2 No. 8, Ottobre 1941, pp. 242-245.
  • Hughes J. (2004), Citizen Cyborg. Why democratic societies must respond to the redesigned human of the future, Westview Press, Cambridge MA.
  • Nietzsche F. (1996), La gaia scienza, Newton, Roma 1996: 87-88.
  • Paul D. (1984), "Eugenics and the Left", Journal of the History of Ideas, Vol. 45, No. 4 (Oct. – Dec., 1984), pp. 567-590.
  • Tallarico L. (2002). "Profilo dell’arte che cambiò l’Italia", Il Secolo d’Italia, 15/06/2002.
  • Wainstein, L. (1991). "Trockij: caro tovarisc mi parli di Marinetti. Una lettera inedita a Gramsci", La Stampa, 13/12/1991.
  • Trotsky L. (1958), Letteratura, arte, libertà, Swarz, Milano.
  • Vattimo G. (2007), “Il progresso scientifico? Facciamolo rallentare. L’etica della responsabilità strumento contro i fanatici delle verità a tutti i costi”, La Stampa, 14/08/2007.

Sitografia

  • Bostrom N. (2005), "A History of Transhumanist Thought", Journal of Evolution and Technology - Vol. 14 Issue 1 - April 2005 ( www.jetpress.org/volume14/bostrom.html )
  • Stalin J. (1933), Bilancio del primo Piano Quinquennale. Rapporto all’Assemblea plenaria comune del Comitato Centrale di con-trollo del Partito Comunista (Bolscevico) dell’U.R.S.S., 7/01/1933 ( www.bibliotecamarxista.org )

Note

  • 1 Dico 'poco meno' perché è il transumanesimo ad essere un caso speciale dell'autoevoluzionismo. Il primo si riferisce infatti ai soli umani transizionali, mentre il secondo indifferentemente a tutti gli esseri senzienti. Solo un umano può essere transumanista, mentre ipotetici alieni, macchine senzienti, postumani sono eventualmente autoevoluzionisti. In altre parole, il transumanesimo parla di postumano, ma paradossalmente cessa laddove inizia il superamento dell'uomo. L'autoevoluzionismo è invece un concetto universale.
  • 2 Stalin andava fiero del fatto che i risultati del piano quinquennale erano stati raggiunti con un anno di anticipo. Solo successivamente si conosceranno gli alti costi umani dell'operazione.
  • 3 Si veda per esempio l’articolo di Gianni Vattimo: "Il progresso scientifico? Facciamolo rallentare. L’etica della responsabilità strumento contro i fanatici delle verità a tutti i costi", apparso su La Stampa del 14 agosto 2007. Dello stesso segno la campagna contro gli OGM dell'ex leader di Democrazia Proletaria e ora presidente della Fondazione diritti genetici, Mario Capanna. Non si può dire che Capanna sia contro la scienza e la tecnica, perché sarebbe una forzatura. È semplicemente sospettoso nei confronti delle multinazionali americane e degli organismi di controllo (e potrebbe non avere tutti i torti). Credo però che comunisti in linea con la tradizione prometeica del marxismo, per ovviare al problema, chiederebbero la statalizzazione delle industrie genetiche, piuttosto che generiche messe al bando o moratorie.
  • 4 Considerando il legame storico che intercorre fra immortalismo e transumanesimo, questa affermazione potrebbe giocare contro l'assimilazione di Trotsky. Egli pensava infatti che la morte fosse inevitabile e perciò intendeva utilizzare l'ingegneria biologica per cancellare o ridurre nell'uomo la paura della morte, considerata il fondamento del sentimento religioso. Al contrario, i transumanisti hanno dichiarato guerra alla morte, più che alla paura della morte. Va però sottolineato che Trotsky non poteva conoscere le scoperte che avrebbero caratterizzato i campi della genetica, dell'elettronica digitale, della robotica e l'enorme sforzo di ricerca che la scienza medica avrebbe compiuto per combattere l'invecchiamento. Inoltre, il ruolo dell'immortalismo nell’ambito del transumanesimo è ancora materia di contesa. Non pochi transumanisti ritengono l'immortalismo un’utopia irrealizzabile e lo sostituiscono nell'agenda con il longevismo, ovvero con l’estensione radicale della vita. In questa seconda accezione, la distanza fra transumanesimo e programma trotzkista si riduce notevolmente.
  • 5 Si veda a proposito anche l’articolo di Diane Paul Eugenics and the Left (1984). L’autore fa notare che Haldane non cambierà mai la sua posizione sull'ineguaglianza degli uomini e sulla necessità di politiche eugenetiche, nonostante l'impopolarità di queste posizioni nell’ambito della 'nuova sinistra', oltre che nel resto dello spettro politico del dopoguerra.
  • 6 Mi riferisco ad Etica della scienza pura (Campa 2007).

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