La conoscenza come valore. Recensione di Etica della scienza pura

Autore: Giuseppe Marcon

da: Divenire 1, Libreria ()

Riccardo Campa,

Etica della scienza pura.
Un percorso storico e critico
,

Sestante Edizioni,

Bergamo 2007, pp. 592.

Etica della scienza pura è un volume di 592 pagine che traccia la storia di un'idea tanto semplice quanto rivoluzionaria: «La conoscenza è bene, l’ignoranza è male». Di questa idea l'autore delinea la genesi, ricostruisce le vicende e indica il possibile destino. È un’idea che a molti intellettuali e scienziati pare ovvia, scontata, forse persino banale, ma la lettura del volume rivela che homo sapiens ha impiegato quasi tutti i centomila anni della sua esistenza per farla propria e, una volta apparsa sul palcoscenico della storia, è stata spesso osteggiata in nome di altri valori o disvalori. È un'idea che ancora oggi trova fieri oppositori.

Così formulato, questo principio lo si trova innanzitutto negli scritti dei filosofi e degli scienziati dell'Antica Grecia, in particolare negli scritti di Platone e Aristotele. Successivamente, la sua affermazione e osservanza è soggetta ad alti e bassi. Secondo l'autore, il valore etico della conoscenza scientifica viene prima messo in dubbio dai Sofisti e poi rivalutato dagli scienziati alessandrini del periodo Ellenistico, negato dai Padri della Chiesa e rigenerato dagli intellettuali polimatici del Rinascimento, esaltato dai philosophe illuministi, ridefinito dai positivisti dell'Ottocento, denigrato da romantici e idealisti, riportato in auge da neorazionalisti come Popper, Enriques e Bachelard, rimesso di nuovo in discussione dai postmoderni a lá Fayerabend e ancora difeso appassionatamente da una schiera di scienziati e filosofi, in particolare Jacques Monod e Mario Bunge.

L'autore non limita tuttavia la propria analisi storica e critica a questo principio generale – che denomina principio di eusofia e che indica come pietra angolare dell’etica della scienza. Riccardo Campa ricostruisce le vicende di tutto il codice etico che ha storicamente regolato la ricerca scientifica. Un codice che include molte altre norme e princìpi. Approfondendo una ricerca già iniziata dal sociologo americano Robert K. Merton, tra le due guerre mondiali, l'autore codifica una vasta gamma di norme. Alcune sono fondamentali (obblighi o divieti), mentre altre sono accessorie (preferenze o permessi). Le norme fondamentali sono strutturali, ovvero sono le regole del gioco della comunità scientifica, mentre le norme accessorie rimandano alla dimensione delle motivazioni individuali, e dunque psicologica, degli scienziati. Mentre i sociologi tendono a concentrarsi sul controllo sociale, i filosofi e gli psicologi pongono l'accento proprio sulle motivazioni. L'autore giudica importanti entrambi gli aspetti e sceglie deliberatamente di studiare il problema in una prospettiva polimatica o multidisciplinare.

Le norme giá codificate da Merton sono quattro: il disinteresse, ovvero l’imperativo di cercare la verità aldilà dei benefici materiali e personali che ne possono derivare; il comunismo epistemico, ovvero l’imperativo di mettere in comune le proprie conoscenze senza chiedere nulla in cambio; lo scetticismo organizzato, ovvero l'imperativo di dubitare di ogni affermazione non supportata da prove empiriche o razionali; e l'universalismo, ovvero l'imperativo di non discriminare i produttori di un'idea scientifica sulla base delle loro caratteristiche personali (età, sesso, razza, nazionalità, ecc.).

Campa pone però enfasi anche su altre norme etiche, in genere trascurate. Tra esse, l’aggiornamento, ovvero il dovere di conoscere le nuove ricerche e scoperte inerenti il proprio campo di studi, e il potenziamento cognitivo, ovvero il dovere di migliorare gli strumenti della conoscenza, tanto quelli tecnologici (telescopi, microscopi, acceleratori di particelle, strumenti di misura, ecc.) quanto quelli biologici (cervello, sensi, ecc.). Proprio il riferimento al miglioramento dello scienziato, oltreché della scienza, realizza un cortocircuito tra i discorsi dell’etica della scienza pura e della bioetica.

Che l’aggiornamento sia da vedere come dovere etico, piuttosto che meramente tecnico, potrebbe a prima vista apparire dubbio. Ma l'autore evidenzia in modo piuttosto convincente che dalla scienza dipende la vita dell'uomo e, quindi, una certa negligenza da parte dello scienziato o del tecnico ha una portata etica. Il medico che non si aggiorna non è giudicato solo sul piano della conoscenza e della perizia, ma anche della moralità. Non è solo 'poco esperto' o 'poco capace', ma anche 'non buono' o 'irresponsabile', perché mette a rischio la vita dei propri pazienti.

Ciononostante, gli scienziati tendono a dichiararsi neutrali sul piano dei valori e intenti solo alla scoperta dei fatti. Tendono cioè a non vedere i presupposti ideologici e morali che stanno a monte del loro lavoro e della loro esistenza. Chiaramente, molti non li vedono perché non li sentono. L'autore, seguendo Lakatos e Bunge, sottolinea che il parassitismo universitario è un fenomeno di crescente dimensione che non può essere trascurato. Le motivazioni che portano molti cittadini ad occupare posti nelle università, nelle scuole, nei centri di ricerca, sono spesso tutt’altro che edificanti e certamente non in linea con la tradizione di pensiero di cui è qui tracciata la storia.

Tuttavia, ci sono anche scienziati che usano il neutralismo come strumento retorico, per fare fronte all'ostilità che investe periodicamente la scienza. Se moltissimi scienziati hanno insistito sulla propria neutralità ideologica, piuttosto che rendere esplicito il proprio codice etico, è stato perché hanno dovuto mettersi al riparo dalle critiche e dalle persecuzioni. D'altro canto, presentare la scienza come carente sul piano dei valori etici è anche la strategia dei soggetti ostili. Al meglio, essa è da questi vista come mero strumento per risolvere problemi pratici. Per queste ragioni sarebbe nato lo stereotipo della scienza neutrale, muta sul senso dell'esistenza, sul destino dell'uomo, sulle grandi scelte esistenziali. E per le stesse ragioni si è diffusa l’idea che, lasciata a se stessa, la scienza non può che cadere vittima di interessi politici, economici e militari. L'autore, pur non negando che l'impresa scientifica è talvolta viziata da comportamenti immorali come frodi e plagi, sostiene che - nelle sue punte più alte - può anche elevarsi a modello etico capace di orientare i comportamenti umani in altri ambiti della vita.

In altre parole, questa ricerca storica mostra che la scienza ha precisi presupposti ideologici, ma tali presupposti non minano affatto il suo status epistemologico. Anzi, sono la precondizione del carattere oggettivo e progressivo della scienza.

Passando dalle ricostruzioni alle valutazioni, non nascondiamo che abbiamo un'opinione molto positiva di questo lavoro. Innanzitutto, si tratta di un lavoro originale. Non ci risulta infatti che sia stata pubblicata prima una storia dell'ethos scientifico, almeno in questa forma e in queste dimensioni. Sono certamente apparsi articoli sul tema, ma – per quanto ne sappiamo - non una ricerca storica sistematica di questa portata. Il testo affronta un tema che, nonostante sia stato per lo più trascurato, è molto interessante. Non può infatti sfuggire l'importanza di un sentimento umano che sta alla base di uno dei fattori più importanti del mutamento sociale, la scienza appunto. Inoltre, Campa tratta l'argomento in modo meticoloso, con piena coscienza metodologica ed epistemologica. La stessa mole del libro testimonia la meticolosità e la passione con cui l’autore affronta questo tema. Sentiamo, infine, la necessità di porre in evidenza la cristallina chiarezza con cui questo filosofo espone le proprie idee. Virtù rara, la chiarezza, soprattutto tra i filosofi. Ma di questo non possiamo stupirci, dato che Campa inserisce proprio la chiarezza tra le norme etiche della scienza e non esita a definire l'astrusità e la caliginosità di certi pensatori come il marchio della loro disonestà intellettuale. Se si ha qualcosa di importante da dire, la si dice in modo chiaro, accettando il rischio di esporsi alle critiche. Altrimenti – dice l’autore – possiamo a buon diritto dubitare dell’importanza del messaggio o delle capacità pedagogiche e stilistiche dell'autore.

Per quanto le idee portanti dell’opera possano apparire controverse, non può sfuggire l'utilità di questo studio, soprattutto in un momento in cui i dibattiti sulla dimensione etica della scienza occupano grande spazio negli organi di informazione, nelle istituzioni politiche, nel mondo accademico e nella società civile. L’argomento che la scienza è un bene in sé è stato messo in campo anche nelle discussioni che riguardano le applicazioni scientifiche e le tecnologie (in particolare, le biotecnologie), e forse lo sarà ancora di più in futuro. Questo perché scienza pura e scienza applicata, pur distinguibili in linea di principio, presentano comunque una contiguità pratica. Dunque, questo testo, con tutte le sue argomentazioni razionali e le sue ricostruzioni empirico-fattuali, può essere messo sul piatto della bilancia anche nell’ambito dei dibattiti in materia di bioetica e, più genericamente, di tecnoetica.

Ci preme sottolineare che non ci troviamo d'accordo con tutte le idee e le interpretazioni espresse dall’autore. Inoltre, poteva rivelarsi utile un confronto approfondito tra le varie etiche delle professioni. In altre parole, l'ethos delle istituzioni scientifiche poteva essere ulteriormente spiegato, attraverso una comparazione con l’etica degli affari o l’etica degli avvocati. Ci rendiamo, comunque, conto che il campo d’indagine non poteva essere allargato a dismisura. E, in ogni caso, questa divergenza di opinioni non inficia per nulla la validità e l’importanza dell'opera ai nostri occhi. Nonostante Campa mostri di avere precisi orientamenti ideologici, dai quali viene a dipendere la struttura del testo e la selezione dei fatti, va rilevato che – molto onestamente – il filosofo rende espliciti questi orientamenti o bias e si fa premura di distinguere sempre in modo chiaro la ricostruzione dei fatti e delle idee, dalla loro valutazione, ossia gli aspetti descrittivi da quelli normativi dell’analisi. In tal modo, offre la possibilità anche ad un ipotetico lettore diversamente orientato sul piano ideologico di trarre comunque beneficio dalla lettura dell’opera.

L’imponente massa di dati e informazioni storiche raccolte, ricostruite e interpretate dall’autore, possono essere di grande aiuto a chiunque voglia avvicinarsi al tema, senza dover necessariamente condividere l’impostazione dell’autore, che – con una formula coincisa – potremmo definire neorazionalista o neoscientista.

Possiamo dunque concludere dicendo che Campa, sforzandosi di separare per quanto possibile la doxa dall’episteme, riesce a mettere in pratica quella norma dell’onestà intellettuale di cui, proprio con questo libro, scrive la storia.