La naturalizzazione della morale e il futuro transumanista dei nostri valori

Autore: Alberto Masala

da: Divenire 2, Attualità ()

Aldilà dell’universalismo morale: l’epidemiologia dei valori e la diffusione (probabile) del transumanismo

Questo articolo si propone di esplorare il contributo che la naturalizzazione della morale può apportare al dibattito sulla validità di valori transumanisti come l’estensione indefinita di quantità e qualità di vita per tutte le creature senzienti che siano in grado di goderne. L’indagine presuppone necessariamente l’articolazione di un quadro teorico e meta-etico sviluppato in un articolo precedente (Masala 2008). Si era visto che un universalismo assoluto o quasi-realista (limitato alla specie umana) sulla morale del senso comune, che presupponga un accordo potenziale in condizioni ideali e accusi i dissidenti di confondersi (o essere preda di ideologie), è insostenibile. E' stata inoltre difesa una forma di egoismo fondazionalista in cui i valori validi per ogni individuo sono quelli in grado di stabilizzarsi di fatto (se ci riescono) nella sua psicologia, quale che sia il loro contenuto. Arrivati a questo punto, quali strade restano aperte per una fondazione della morale e dei valori transumanisti?

Visto che un approccio naturalista è compatibile con l’idea che i valori di un individuo siano una fonte ultima di giustificazione adeguata, non siamo costretti a una posizione scettica di nichilismo normativo che direbbe che non ci sono norme che valgano perché non esiste una fonte adeguata della normatività (l’acqua dell’acquedotto normativo è sempre fredda), tutto è permesso, anything goes. Al contrario, dopo aver escluso l’universalismo cognitivo del quasi-realismo si tratta di comprendere come funziona l’evoluzione, la gestione e la stabilizzazione dei valori umani, valori che in ogni caso sono in grado di darci delle vere norme e delle vere ragioni di agire. Seguendo l’ispirazione di un modello epidemiologico rigoroso già applicato al problema generale dell’evoluzione delle idee da teorici come Dan Sperber (Sperber: 1999) e diffuso nella (contro-)cultura popolare in formato pseudoscientifico sotto il nome di 'memetica', si tratterebbe di fare dell’epidemiologia dei valori morali. I valori non sono delle scelte arbitrarie registrate in caselle cognitive isolate: valori diversi sono più o meno intuitivi o radicati rispetto alle strutture cognitive umane, più o meno compatibili con altri valori già presenti nel momento in cui li si incontra, più o meno favoriti da pressioni evolutive e sociali (società e individui con certi valori prosperano più di altre). A corto, medio e lungo termine i valori competono tra loro per la sopravvivenza nell’arena dello 'spazio normativo psicologico' umano.

Tutti i valori e i sistemi di valori non nascono uguali e non hanno le stesse chances di sopravvivenza. Se non ci sono valori universali da cui uno può deviare solo per confusione o ideologia, di fatto non si ricadrà neanche (almeno non prossimamente) nella frammentazione dell’ «ognuno con i suoi valori»: le condizioni di diffusione e circolazione attuali dei valori fanno si che siano spesso comunità o gruppi (grandi o piccoli) a condividerli. Ci sono delle tendenze epidemiologiche generali interessanti sulla diffusione dei valori? Si, e qui troviamo il primo vero nesso con tematiche transumaniste.

In base alle nostre migliori conoscenze scientifiche di psicologia morale risulta che, al livello di un singolo individuo, i valori morali sono essenzialmente una questione emotiva (non razionale: discutendo un po’ con una persona non si cambiano i suoi valori di fondo) e possono essere tutti allo stesso livello di importanza. Cioè, anche se questo sconvolgerà un borghese liberale occidentale, una persona sana può benissimo pensare che l’omossessualità sia altrettanto immorale che l’omicidio. Però la situazione è diversa a livello di pressioni evolutive a lungo termine. Ci sono solo due tipi di valori che sono intrinsecamente favoriti da pressioni evolutive grazie a fattori cognitivi profondi e innati: la promozione del benessere e una qualche forma di giustizia. Gli altri valori sembrano o non avere una base cognitiva innata o averne una che condiziona solo alcuni aspetti molto specifici, il che li lascia per il resto alla mercé di fattori esogeni ambientali.

Ceteribus paribus, la costituzione psicofisica dell’uomo lo porta a detestare il dolore e ad amare il benessere, ovviamente per se stesso, ma anche per gli altri. Che qualsiasi animale abbia una preferenza innata per il proprio piacere e il proprio benessere rispetto alla sofferenza non ha bisogno di essere dimostrato. Invece, non si può assumere senza argomenti che l’uomo abbia una tendenza innata a desiderare il benessere degli altri, e a soffrire per il loro dolore. Studi psicologici hanno ben documentato che la tendenza si esprime nei neonati, che hanno una chiara tendenza a piangere in risposta al pianto di altri neonati, più di quanto non abbiano una tendenza a imitare in generale. In un esperimento classico, neonati esposti al pianto di altri neonati e a vari tipi di rumori che in certi casi imitavano il pianto di un altro neonato (un rumore generato da un computer e simile a un pianto; il pianto di un adulto) e in altri no reagivano piangendo in maniera molto più regolare quando ascoltavano il vero pianto di un neonato (Simner: 1971). Anche negli adulti, la reazione alla sofferenza altrui non si riduce a una semplice propagazione imitativa, in cui vedere qualcuno che si è rotto un ginocchio mi fa semplicemente pensare a cosa potrei provare se mi rompessi un ginocchio anch’io. La maniera in cui un soggetto reagisce alla sofferenza altrui è specifica e personale, non imitativa del dolore in questione (Batson: 1991).

Per quanto riguarda la giustizia, l’idea di un senso della giustizia innato pare sempre più credibile: infatti, anche il più vile profittatore o tiranno ha bisogno di costruire un discorso ideologico in cui ognuno riceve la sua parte e 'quello che gli spetta'. Il feudalesimo nel medioevo era giustificato come una divisione dei compiti tra il signore che dava protezione e il contadino che produceva il cibo, e questo tipo di giustificazioni sono praticamente universali nella storia umana conosciuta. Se non ci fosse un bisogno innato di giustizia, non sarebbe neanche necessario tentare di eluderlo sistematicamente con queste costruzioni ideologiche (Baumard & Sperber: 2007), ci si potrebbe per esempio limitare unicamente (non che non lo si faccia anche) a minacciare di ritorsioni i sudditi se non restano fedeli e sottomessi. Comunque, anche se un senso di base per la giustizia non fosse innato, in qualsiasi configurazione storica reale un minimo di giustizia è necessario per realizzare prosperità e benessere, quindi la prima tendenza innata verso il benessere può spiegare l’universalità della giustizia.

Invece i sistemi di parentela (poligamia, poliandria, concubinaggio), tabù alimentari e sessuali, variano o qualche volta (raramente) semplicemente a caso, con un processo equivalente a livello culturale alla deriva genetica (genetic drift), o seguendo pressioni ambientali che li rendono utili: senza la tecnologia medica adeguata, il libertinaggio sistematico espone a rischi sanitari ovvi, nonché a gravidanze non volute, da cui il fatto che la sessualità libera sia repressa in molte culture. Esistono molte analisi sull’opportunità economica di poligamia e poliandria in vari contesti ambientali (Prinz: 2007), dati recenti mostrano che la cultura dell’onore e della vendetta è sistematicamente associata ad allevatori che rischiano di farsi rubare il bestiame, mentre invece gli agricoltori sono più mansueti (Nisbett & Cohen: 1996). In realtà non è escluso che ci siano tendenze innate anche su questioni che non riguardano benessere e una qualche forma di giustizia. Soprattutto per quanto riguarda la sessualità, la psicologia evoluzionista ha evidenziato vari universali: nella variazione storica e geografica dei gusti degli uomini ritorna il tema dei fianchi che si restringono rispetto alla vita nel corpo femminile, le donne sono in media più selettive che gli uomini, la gelosia maschile riguarda in media maggiormente la fedeltà sessuale, quella femminile la fedeltà emotiva (Buss: 1994; Buss, Larsen, Westen, & Semmelroth: 1992). Però la differenza fondamentale è che nel primo caso la struttura innata ha l’effetto evolutivo di promuovere sempre e comunque il valore del benessere nella sua interezza, mentre nel secondo ritornano solamente alcuni temi di come vivere la sessualità, non dei valori sostanziali come la monogamia. Al massimo, si può dire che, data una certa distribuzione di contesti economici e ambientali, ci sono delle tendenze innate che favoriscono la monogamia, ma la gelosia non genera intrinsecamente una pressione evolutiva in favore della monogamia: in futuro potrebbe essere favorita una società in cui si è gelosi dei partecipanti al proprio ménage à trois.

Per evitare confusioni, è importante capire che questa differenza tra pressioni evolutive si spiega in base a l’esistenza di tendenze innate da un lato (benessere e giustizia) e la semplice disposizione ad assorbire e caricare emotivamente quello che passa la nostra cultura da un altro (tabù sessuali e alimentari), ma queste tendenze non sono sufficientemente forti per fare necessariamente una differenza a corto termine nella vita di un individuo: si manifestano solo su scala storica. Le tendenze innate sono ceteribus paribus, è perfettamente possibile che un individuo sia acculturato in maniera tale da pensare che l’omossessualità sia allo stesso livello dell’omicidio o che sia normale torturare i condannati a morte, spettacolo comune in tutte le città del medioevo europeo. E il masochismo, il sadismo, dove finisce in questi casi la tendenza spontanea al piacere?

Per capire che queste non sono obiezioni valide all’idea di una pressione evolutiva costante spiegata da fattori innati, bisogna avere un po' di dimestichezza con la teoria dell’evoluzione. Un gene che dia anche un piccolo vantaggio, per esempio delle ossa più forti, a lungo termine si diffonde necessariamente. Se si è diffuso, vuol dire che le persone che hanno questo gene hanno avuto in media più figli. Ora, uno potrebbe pensare a un caso singolo e domandarsi: se fossi un cacciatore raccoglitore del pleistocene e avessi le ossa solo un po' più forti, questo mi assicurerebbe di fare più figli? Certo che no, nel caso della vita di un individuo determinato, il vantaggio è debole è può essere controbilanciato da fattori ambientali opposti. Per esempio, il nostro cacciatore potrebbe avere le ossa più deboli di fatto perché nell’ambiente in cui vive c’è scarsità di cibo, oppure semplicemente anche con le ossa un po più forti gli va male comunque nella competizione con i suoi simili che possono avere altre risorse interessanti. Ma visto che a lungo termine circostanze fortunate e sfortunate si bilanciano, su tempi lunghi un gene del genere si diffonde inesorabilmente comunque. Allo stesso modo, la tendenza a apprezzare il proprio benessere e quello altrui può essere tranquillamente controbilanciata da altre pressioni culturali in una società determinata (senza per questo sparire, in quanto innata), come nel caso del cittadino medievale che gode delle torture in piazza.

Un’altra considerazione importante è che sadismo e masochismo non sono una vera obiezione comunque, perchè il fenomeno del fascino per la negazione di categorie intuitive molto profonde è ben documentato in psicologia. Ciò che viola un’aspettativa cognitiva profonda affascina e attira tantissimo l’attenzione. E stata studiata l’evoluzione spontanea di storie per passaparola o di miti lungo i secoli: si è visto che c’è una tendenza a alterare le storie per fare entrare in gioco entità fortemente controintuitive, che attirano l’attenzione molto di più. Col passaparola, da un albero con qualche incisione, si passa molto velocemente ad un albero che parla, da un cavaliere a un cavaliere senza testa, da un personaggio all’inizio unicamente un po' misterioso si passa in fretta ad un personaggio immortale (Boyer: 2001). Il fascino del limite conferma l’esistenza dell’aspettativa cognitiva negata: anche ammettendo l’accettazione nel medioevo di livelli di sofferenza oggi inconcepibili, il fascino di una tortura pubblica risiedeva probabilmente nella morbosità associata all’assurda negazione di un’aspettativa fondamentale.

La conseguenza che ci interessa è che, se cessano le pressioni ambientali che rendevano necessarie pratiche inumane, i valori iniziano lentamente a evolvere nella direzione di una promozione del benessere per tutti gli esseri che ne possono godere, e di un’eliminazione del dolore per tutti gli esseri che soffrono. Queste tendenze sono largamente documentate riguardo all’evoluzione di tortura e punizioni sempre più clementi nella storia europea e cinese (Nichols: 2004), nonché nella diffusione del movimento ambientalista per la salvaguardia degli animali in occidente e nel mondo. Questa tendenza si manifesta in forma minore e trova molti controesempi in paesi in cui le condizioni di vita sono molto difficili per una parte della popolazione (Stati Uniti inclusi), la religione ha un potere molto forte di conservazione di valori tradizionali e c’è poca cultura scientifica (vedere sotto per cosa c’entra la cultura scientifica).

A parte una serie di valori che potremmo definire quasi estetici e che sono neutri rispetto a benessere e giustizia, la maggior parte dei valori arbitrari che limitano il benessere degli esseri senzienti sono imposti da condizioni legate a una situazione di scarsità e limitazione: il sesso libero negato perché non c’è tecnologia medica e contraccettivi, la vendetta diffusa perché sennò ti rubano le pecore, una particolare configurazione familiare perché aiuta a gestire risorse scarse. Visto che non c’è nessuna cultura che non cerchi la prosperità e la ricchezza ceteris paribus, sembra che le culture mondiali siano già adesso impegnate in un cammino la cui conseguenza indiretta è la contro-selezione di valori arbitrari che ostacolano la promozione del benessere. Se queste previsioni sono corrette, i valori mortalisti che giustificano la tragedia dell’invecchiamento e della morte saranno progressivamente abbandonati e siamo in rotta verso un mondo transumanista. Questo non significa uniformità nel panorama valoriale futuro: ci sarà probabilmente da un lato un riconoscimento universale di un nucleo di valori legati a quantità e qualità della vita di tutti gli esseri senzienti e dall'altro una proliferazione barocca di sensibilità differenti su questioni neutre rispetto al nucleo fondamentale. Ci sarà ampio spazio per gruppi che baseranno la loro costruzione identitaria in maniera anche molto forte su passioni, interessi, approcci al corpo e alla vita completamente diversi.

Evidenziando delle tendenze di fondo nel marasma di costruzioni valoriali storiche e contingenti, l’approccio epidemiologico alla diffusione dei valori si distingue dall’esercizio di una geneaologia della morale, inaugurato da Nietzsche e esercitato ancor oggi con l'ausilio di conoscenze storiche e antropologiche molto più accurate (Prinz: 2007). Per giustificare l’idea della totale contingenza dell’evoluzione della morale insita nell'approccio genealogico, bisogna però rigettare l’idea di qualsiasi pur minimo sostrato innato alla cognizione morale, tesi che non manca di difensori (Prinz: 2008), ma risulta poco credibile per la maggior parte degli studiosi, anche perché si è visto che poche e piccole tendenze innate sono sufficienti per generare potenti pressioni selettive, destinate a prendere il sopravvento se le contro-pressioni ambientali cessano – esito annunciato dal tramonto di un’economia della scarsità.

Ragioni per agevolare un’evoluzione transumanista dei propri valori

Che conseguenze ha questa tendenza di fondo – che potrebbe anche essere lenta e a lungo termine – per quello che ciascuno di noi dovrebbe fare adesso? Se il mio obiettivo è diffondere oggi i valori del transumanesimo, sembra che mi sia dato una zappa sui piedi. Infatti sostengo che l’immagine scientifica del mondo ci costringe a una posizione meta-etica in cui ognuno deve agire in base ai valori che ha veramente, quali che siano. Detta così, non sembra un buon punto di partenza per convertire al transumanismo chi transumanista non è. Tuttavia, le cose non sono così semplici. Abbiamo visto che i valori non sono semplicemente infilati in una scatola nella testa e chiusi a chiave: anche se la morale è profondamente radicata a livello emozionale in un individuo, a questo resta un margine di manovra nella gestione dei propri valori, a livello individuale e collettivo. Le norme morali sono radicate nella maniera più profonda a livello pratico e di scelte di vita in casi concreti e situazioni specifiche: per esempio, come conseguenza di una educazione cattolica riuscita, è possibile che una ragazza trovi inconcepibile l’idea di relazioni sessuali occasionali. Se questa ragazza è un’attivista cattolica, è anche possibile che sia profondamente convinta di questo valore a livello riflessivo, per esempio avendo una teoria articolata della purezza del corpo e dell’impossibilità di utilizzarlo come oggetto. Come attivista, lotterà anche a livello collettivo per rafforzare e diffondere il valore.

Tra questi tre livelli, il più radicato e difficile da smuovere è quello pratico: come per la quasi totalità delle persone l’incesto non è un’opzione aperta, così, dopo un certo percorso educativo, è possibile che avere delle relazioni sessuali occasionali resti inconcepibile. Tuttavia, non tutti sono obbligati a razionalizzare a livello riflessivo l’assurdità del sesso occasionale, né tanto meno a farne propaganda. Uno può tenersi la sua (non) scelta di vita, pensare che così si sente bene e non rompere le scatole al prossimo. Il radicamento emotivo dell’educazione, agendo a livello pratico, non è così forte da garantire il controllo del livello riflessivo e collettivo senza l'aiuto di un ambiente adeguato e di pressioni sociali continue per il rispetto della norma.

Ora, qualcuno che non difenda una norma a livello riflessivo e collettivo, da un punto di vista epidemiologico è un pessimo propagatore, anche a corto termine: non reagisce all’invasione di altri valori concorrenti, non riequilibra le perdite di influenza del valore nell’ambiente circostante, non fa niente contro la possibilità che anche lui stesso, a lungo termine, ceda alla tentazione. L’impegno riflessivo e collettivo di una persona è molto più influenzabile che le scelte pratiche, e un valore che smetta di essere difeso a questi livelli epidemiologicamente ha le ore contate: una madre che ha rispettato il valore della verginità prima del matrimonio ma non è più convinta della sua attualità e validità assolute lo trasmetterà in maniera blanda ai figli, e il tutto sarà perso in qualche generazione. Dopotutto, non è inutile discutere di morale. Se l’ideale di convincere con un po' di buon senso in qualche ora (o anche in qualche mese) è ridicolo, la discussione e la persuasione seminano idee e alterano il nostro posizionamente rispetto ai valori.

Non solo i valori possono essere attaccati, possono essere infettati. L'ancoramento cognitivo della morale nella testa della gente non corrisponde a una lista di risposte a ogni domanda possibile: è frequente ipostatizzare in maniera monolitica sistemi di valore come 'la morale cattolica' o 'la morale islamica', come se si potesse poi andare a verificare le varie dottrine su punti specifici, quasi si trattasse di un'enciclopedia. Ma i valori realmente attivi nella testa della gente non sono definiti in maniera così precisa: non ci può essere già da sempre una sensibilità cattolica rispetto al corpo associata a un approccio preciso su tatuaggi, scarnificazioni e ibridazioni tecnologiche, prima che questi fenomeni non si incontrino veramente. Le risposte di un sistema di valori si producono e si negoziano in tempo reale di fronte alle novità esistenti e alle pressioni reali, e qui c’è un margine di contaminazione e di persuasione. Anche le associazioni emotive più forti in linea di principio possono essere ridirette: Haidt ha indagato la possibilità di controbilanciare il senso di impurità (emozione di disgusto) che i conservatori americani associano all’omosessualità insistendo a livello di framing (di presentazione di slogan e programmi politici) su l’ingiustizia che subiscono gli omossessuali: visto che anche un conservatore ha delle emozioni di giustizia, si può insistere su slogan del tipo «un omossessuale è uno che paga le tasse e poi non lo si lascia vivere come vuole» (Haidt: 2005). Questo può far presa anche sui conservatori.

L'immagine che ci da la psicologia della cognizione morale di un individuo è quella di un nocciolo duro radicato, pratico, emotivo ma circondato da un territorio brulicante di associazioni emotive ridefinibili e quadri ideologici negoziabili, più indirettamente e a medio lungo termine. Soprattutto chi ha un progetto ambizioso come quello transumanista sbaglierebbe a leggere nelle scoperte recenti della psicologia un freno alla possibilità di una grande campagna di persuasione.

Che da ogni posizione si cerchi di persuadere gli avversari è ovvio, per concludere voglio invece interessarmi alla questione di quali ragioni oggettive di non opporsi o anche di agevolare un’evoluzione pro-transumanista dei suoi valori abbia oggi (e sempre di più in un futuro molto prossimo) un non-transumanista. L’idea di fondo è la seguente: una diffusione sempre maggiore e una comprensione profonda di contenuti scientifici (fra cui quelli riportati in questo articolo) permetteranno a un non-transumanista – a livello del margine di manovra riflessivo che si ha nella negoziazione dei propri valori – di realizzare due cose: 1. non c’è una ‘storia di copertura’ coerente (le cui premesse resistano a uno scrutinio scientifico) dei valori che giustificano la sofferenza e il dolore 2. lui stesso sottoscrive indirettamente ai valori transumanisti, perché sottoscrive ai valori di prosperità e benessere per la società, che – data la psicologia umana – implicano un’evoluzione in senso transumanista.

Riguardo al primo punto, bisogna innanzitutto criticare due opinioni diffuse sul rapporto tra scienza e morale. La prima è che la scienza non abbia niente a che vedere e da ridire sulla morale perché la morale appartiene a una dimensione valoriale che la gente ha il diritto di ereditare, tramandare o scegliere, al limite anche con un atto volontaristico di identificazione e appropriazione. Di solito questo atteggiamento alla «non toccare la mia morale» non piace agli universalisti, perché la tua morale non si tocca solo se corrisponde a quella vera. Invece io, sostenendo che gli unici valori che valgono sono quelli che una persona ha veramente e stabilmente, in linea di principio non ho nessun problema con l’idea di un’appropriazione identitaria volontaristica di un sistema valoriale. Il problema è invece di vedere se questa scelta arbitraria o culturalista riesce, perché di fatto la scienza influenza e provoca dei cambiamenti nei sistemi valoriali.

Proseguendo su questa linea, la seconda opinione diffusa è appunto la negazione di questo fatto, che la scienza influenzi più di tanto la morale. Il mondo attuale sembra la più chiara dimostrazione che la tecno-scienza, negli stessi paesi in cui è più sviluppata, sia compatibile con ogni sorta di presa di posizione valoriale, religiosa e superstiziosa. Ma bisogna osservare che 1. l’ignoranza scientifica della gente di fatto è ancora abissale (Cole: 1996), e gli scienziati stessi sono un gruppo dove la percentuale di atei è altissima (Larson & Witham: 1998) 2. da un punto di vista psicologico, il terreno di azione della morale e della religione è emotivo, pratico, caldo, radicato nella situazione concreta. Non c’è una dottrina astratta dell’anima che accumula peccati a cui si contrapponga un’altra dottrina teorica del comportamento umano interamente spiegato dai processi cerebrali. Lotte a questo livello non fanno nessun effetto alla gente comune: la dottrina del peccato incarnata nella psicologia di una persona religiosa è la sua reazione emotiva di rigetto di fronte a un atto impuro.

Una vera sfida deve essere prossimale, relativa al caso concreto: per esempio la scoperta di quale zona del cervello regola gli atti ‘impuri’ di quel tipo. Un’analisi del trattamento mediatico delle neuroscienze mostra che la gente è assolutamente appassionata, sconvolta, impaurita e quasi isterica rispetto alla possibilità di scoperte di questo tipo, che minacciano il tessuto valoriale nel concreto (Greene: 2008). Il potenziale di sconvolgimento di valori tradizionali da parte di una scienza matura che arrivi a essere invadente nel concreto è enorme, e non bisogna dimenticare che rispetto a qualsiasi previsione ragionevole – nonostante i progressi enormi negli ultimi due secoli – scienza e tecnica sono ancora nella loro infanzia. Ora, i valori anti-transumanisti (mortalismo, inviolabilità della natura umana ecc.) vengono tutti dal passato, con storie di copertura che quando non contengono delle petizioni di principio patenti – per esempio l’idea di dignità, dove questa è definita postulatoriamente come incompatibile con l’alterazione di tratti caratteristici della specie – sono piene zeppe di presupposti non scientifici, specialmente di origine religiosa, come l’esistenza dell’anima, il rispetto di un ordine predefinito del cosmo ecc. Non è difficile immaginare che con l’intensificarsi della pressione della scienza sulla società, credere a queste storie di copertura a livello riflessivo sarà sempre più difficile.

Riguardo al secondo punto, abbiamo visto che uscire da una condizione di scarsità a più livelli, tra cui economico e sanitario, a lungo termine toglie ogni pressione evolutiva positiva a valori che siano contrari alla profondissima e innata attrazione per il benessere e al rigetto per il dolore. Nessuna cultura persegue esplicitamente la povertà e la scarsità di beni e risorse, ma questo vuol dire che le culture non transumaniste sono già impegnate a prendere il cammino di una trasformazione radicale. Ovviamente, ogni sistema valoriale cerca di mantenersi in vita in ogni modo, scatenando delle chiusure identitarie e rafforzandosi proprio perché è attaccato. Il problema è che da un lato le culture non transumaniste, con il loro sottoscrivere a un ideale di prosperità, hanno il nemico in casa, dall’altro il riflesso di chiusura identitaria non dà loro un vantaggio evolutivo, visto che – come riflesso psicologico associato in generale ai sistemi di valori – è condiviso anche dalle culture transumaniste. I gruppi transumanisti possono chiaramente, come gli altri, rafforzare la loro identificazione valoriale e identitaria se si sentono attaccati. Quindi dal punto di vista epidemiologico delle pressioni evolutive questo non fa differenza.

Chi realizza queste due cose ha già adesso delle ragioni per smettere di difendere a livello riflessivo dei valori anti-transumanisti che siano ancora radicati in maniera pratico-emotiva: i valori sono qualcosa che dà senso e struttura alla vita, essi devono in un certo senso valere e farsi valere da soli. Il ruolo di un valore è, come quello di una colonna, sorreggere. Un valore instabile e che non abbia futuro per ragioni profonde è quasi una contraddizione in termini: l’idea stessa di avere veramente certi valori è solitamente introdotta per che non si possa dire che un individuo drogato e condizionato manifesta un vero desiderio. Il desiderio indotto sotto il condizionamento di una droga è effimero, non ha cittadinanza, radici o futuro nella struttura psicologica dell’io. Un valore struttura, resiste e persiste e se è abbandonato da una persona è perché non si rivela all’altezza di questo ruolo. Aldilà di contingenze sfavorevoli che diano anora respiro momentaneamente ai valori anti-transumanisti (crisi globali che perpetuino un’economia di scarsità), questi sono persona non grata nell’ecologia dinamica della nostra psiche, per ragioni strutturali. Prima o poi il nostro legittimo bisogno di conoscenza li priverà di possibili giustificazioni astratte, e saranno erosi alla base dall’avanzare inarrestabile della volontà di benessere e prosperità.

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