Futurismo e fantascienza

Autore: Francesco Boco

da: Divenire 3, Futurologia ()

La fantascienza, per definizione, tratta di argomenti d’immaginazione cercando di giustificarli in modo più o meno credibile attraverso l’esposizione di teorie scientifiche veritiere o verosimili. Il futurismo è stato un movimento culturale di vasto respiro che, partendo da formulazioni a-logiche, “irrazionali” e talora provocatorie, ha saputo e voluto immaginare un futuro plasmato secondo i suoi canoni.

C’è un sottile e complesso filo conduttore che accomuna la fantascienza in quanto genere letterario e cinematografico e il futurismo in quanto arte totale. Cercare dei punti di contatto e dei richiami più o meno espliciti è però tanto più facile affidandosi all’intuizione e all’immagine. Marinetti e gli altri hanno anticipato con notevole forza visiva e letteraria suggestioni, timori e sogni che la fantascienza strettamente "di genere" ha fatto puntualmente suoi a partire dagli anni venti. Non è facile ricostruire fino a che punto vi sia stata influenza diretta e consapevole del movimento d’avanguardia nostrano sulla science fiction mondiale; è tuttavia indubbio il costante riproporsi di temi e rappresentazioni che troviamo per la prima volta, con tanta irruenza ed efficacia, solo a partire dal 1909 e nel futurismo.

Ma alcune interferenze più dirette ed immediate balzano invece immediatamente agli occhi.

Nel 1919 Volt, al secolo Vincenzo Fani Ciotti, scrive un romanzo di fantascienza futurista che solo in anni recenti Vallecchi ha doverosamente restituito all’attenzione dei lettori. La fine del mondo (2003) narra di fatti accaduti nel 2247. La Terra è diventata invivibile a causa del degrado ecologico, della sovrappopolazione e dell’esaurirsi delle risorse energetiche; per questo si costituisce la Società di Navigazione Transeterica, che si propone di costituire una flotta di vascelli spaziali per la colonizzazione di altri pianeti. Il Consiglio Mondiale si oppone però a questa missione bollata come imperialista e anti-umanitaria, tentando così d’impedire il decollo delle navi. Il finale sarà letteralmente col botto e la missione nello spazio avrà comunque inizio. Gianfranco de Turris, curatore della riedizione, si premura di evidenziare con grande precisione il fatto che questa è la prima opera letteraria di un italiano che anticipi e proponga in modo unitario e coerente delle tematiche e dei problemi (l’inquinamento, i viaggi interstellari…) che negli anni a venire si sarebbero ripresentati con grande insistenza.

«Le eternavi arrivavano, dopo aver volato su Roma, quasi radendo il suolo, in ordine obliquo, simili a enormi thanks variegate. E i radi alberi si curvavano sotto il loro passaggio. Arrivate in riva al mare, si elevarono quasi verticalmente, con un rombo terribile. Ben tosto non furono più che un punto nel cielo fatto più cupo dalla scomparsa del sole. E scomparvero».

Non si tratta evidentemente di uno stralcio tratto da un racconto di Asimov o dalla serie di Star Wars, è l’immaginazione del conte futurista Volt a rappresentarsi delle enormi navi spaziali multicolori che si dirigono alla conquista dello spazio inesplorato e ignoto. Prima di 2001 Odissea nello spazio di Kubrik (1968) o di Blade Runner, è un futurista italiano a narrare, in un contesto coerente e calato in una costruzione politica e sociale, la partenza verso nuove frontiere dell’esistenza. Robert Heinlein nel 1960 scrisse il discusso e fortunato romanzo Starship Troopers, dove si narrava la lotta tra gli umani e una popolazione aliena in pianeti lontani: è possibile in questo caso trovare quanto meno una similitudine con la lotta che Volt prefigurava con gli abitanti di Giove nel racconto del 1919.

È ben difficile sapere se gli autori della fantascienza classica fossero a conoscenza del romanzo di Vincenzo Fani Ciotti, ma è possibile non lo fossero, e semplicemente respirassero il medesimo Zeitgeist. Certamente però erano a conoscenza dell’opera pittorica e più strettamente letteraria del futurismo in quanto movimento artistico. Quale che sia la sua declinazione – vorticismo, futurismo sovietico fino alle varie altre espressioni europee – ovunque il movimento ideato da Marinetti ha insistito sugli stessi temi. La spinta dirompente sulla società primo-novecentesca, ancora intrisa di cultura ottocentesca e al tempo stesso della ribellione a quest’ultima, fece da stimolo per la costruzione di un nuovo mondo fatto di tecnologia e movimento.

Nel 1927 Thea von Harbou scrive il suo romanzo Metropolis, allegoria ciclico-comunitaria della redenzione delle classe lavoratrici attraverso una loro reintegrazione comunitaria al di là dello sfruttamento capitalista e della ribellione puramente nichilista. Nella visione filmica che ne fece il marito Fritz Lang nel celebre omonimo film muto, si vedono enormi palazzi e vie labirintiche che ricordano in tutto e per tutto le raffigurazioni caotiche e intricate che della metropoli elettrica diedero i futuristi in quegli stessi anni. Ma il fulcro futuristico del racconto Metropolis, che si prolunga poi in tutta la letteratura cyberpunk a partire dagli anni ottanta, è la figura dell’uomo-macchina, del golem meccanico creato dall’uomo con le sue sole forze. Personaggio minaccioso e inquietante, ma al contempo affascinante e impetuoso, novello Frankenstein tecnologico; il cyborg (come si chiamerà poi), non è che l’evoluzione naturale di Gazurmah, la portentosa creatura alata costruita da Mafarka verso la fine dell’omonimo racconto marinettiano del 1909. Il volo di “Gazurmah, il senza-sonno” non fa che evocare all’ennesima potenza il sogno futurista di un uomo compenetrato con la macchina. La narrativa cyberpunk ha immaginato uomini integrati in modo più o meno stretto con le macchine, ma prima qualcun altro aveva già prefigurato i tempi.

«La grande novità degli scrittori cyberpunk consistette nel saper vedere direttamente la mutazione del rapporto tra tecnologia e società, oltre e al di là dell’assetto dell’immaginario esistente» (A. Caronia, Il Cyborg, Shake ed.). Si pensi a film molto diversi come Matrix, Johnny Mnemonic, Nirvana o Ghost in the Shell, tutti appartenenti in senso lato al filone cyberpunk, ma che in questo senso non hanno inventato nulla di veramente nuovo; hanno semmai aggiornato e precisato meglio i contorni di un’intuizione marinettiana già messa per iscritto nel breve testo L’Uomo moltiplicato e il Regno della Macchina. Così Marinetti: «Bisogna dunque preparare l’imminente e inevitabile identificazione dell’uomo col motore, facilitando e perfezionando uno scambio incessante d’intuizione, di ritmo, d’istinto e di disciplina metallica, assolutamente ignorato dalla maggioranza e soltan-to indovinato dagli spiriti più lucidi».

Il manifesto Martinetti non è poi che un’ulteriore conferma del fatto che il futurismo ha precorso, foss’anche talora in modo rudimentale o paradossale, i problemi attuali legati alle biotecnologie e alla convivenza dell’uomo con le macchine. Vi è raffigurato un Marinetti moltiplicato alla quarta, chiuso in un corpo di acciaio - o meglio in una “video tuta” – e che al posto dello stomaco ha un video degli stati d’animo. Un po’ Teletubbies e un po’ Futurama.

La letteratura cyberpunk, e generalmente la fantascienza degli ultimi anni, ha una visione piuttosto cupa e distopica del futuro. Città-formicaio e uomini soffocati dalle tecnologie la fanno da padrone e spesso la narrazione si presta ad una lettura luddita o addirittura primitivista. Diversamente, il futurismo, nonostante i suoi esponenti avessero conosciuto direttamente il dramma della guerra e la dialettica della carne e dell’acciaio in un senso tutt’altro che metaforico, non smettevano di elogiare e sognare una nuova organizzazione del mondo attraverso la tecnica e la meccanizzazione di ogni aspetto dell’esistenza. Eccessi e provocazione a parte, è bene mettere a fuoco il fatto che nel movimento artistico partorito dalla mente esplosiva di Marinetti, Boccioni, Balla, Carli, Sant’Elia e gli altri sono custoditi, sotto forma anche solo di cenni e intuizioni non sviluppate appieno, tematiche e rappresentazioni che negli anni hanno conosciuto sempre maggiore diffusione e fortuna. Gazurmah, mostro alato di metallo e carne, è in effetti il prototipo dell’uomo meccanico futurista, dell’integrazione tra spirito e materia, che custodisce in sé anche un nascosto sottofondo alchemico ed esoterico ben al di là delle desertiche ossessioni monoteiste.

L’anima nietzscheana del futurismo emerge con grande forza proprio nell’immaginazione di un avvenire postumano, nell’opinione che il significato dell’esistenza sia il superamento di sé e il dominio sul mondo inerte. C’è l’esaltazione della volontà e del gesto deciso, c’è la luminosità di vasti orizzonti e la follia che sfida le stelle; nonostante il noto disconoscimento di paternità da parte di Marinetti, Friedrich Nietzsche ha lasciato un segno profondo nell’avanguardia nostrana, trasmettendo una visione sovrumana che altrove non è possibile riscontrare. Certo non in Bergson.

L’eccitazione selvaggia verso traguardi incessantemente rinnovati, lo slancio dell’Icaro di metallo Gazurmah, trova la sua necessaria premessa filosofica ed esistenziale nelle opere del pensatore tedesco, dove il volo assume i connotati di libertà e volontà “più-che-umani” e l’uomo è una “corda tesa” verso la possibilità di un qualcosa di più dell’uomo stesso. Nietzsche è stato dinamite, Marinetti è stato caffeina: entrambi ci hanno sospinto verso nuove sfide, concettuali prima ancora che pratiche. E non sono stati certo irrilevanti nella capacità stessa della fantascienza dall’“epoca d’oro” in poi di immaginare scenari, storie e interi universi in cui “superuomini” di variatissima natura corrono incontro al loro destino, in cui la tecnologia non viene declinata secondo la dimensione rassicurante del “progresso” ottocentesco, ma quella dell’avventura, dell’esplorazione, della conquista, dell’immortalità, della discontinuità, del divenire: è quasi banale al riguardo per gli appassionati del genere citare Robert H. Heinlein, Poul Anderson, Alfred E. Van Vogt. Arthur C. Clarke, Charles L. Harness, Raphael A. Lafferty, sino a Vernor Vinge, Greg Egan, Charles Stross, William Gibson o lo stesso Bruce Sterling – l’autore della Matrice spezzata in cui si affrontano machinist e plasmatori biotecnologici e il “chairman Bruce”, il “presidente Mao” del movimento cyberpunk, che oggi chiude il cerchio ripubblicando, non senza un po’ di scandalo, i manifesti futuristi sul suo blog.

Nel 1909, dopo una notte insonne, fece la sua comparsa il Manifesto del futurismo e si chiudeva così: «Ritti sulla cima del mondo, noi scagliamo, una volta ancora, la nostra sfida alle stelle!». Questa sfida agli astri è diventata anche la tensione prometeica delle prue di enormi navi spaziali rivolte verso il cielo.

Bibliografia minima

  • Volt, La fine del mondo, Vallecchi.
  • Aa. Vv., Filippo Tommaso Marinetti e il futurismo, Mondadori
  • F. T. Marinetti, Gli indomabili, Mondadori.
  • F. T. Marinetti, Mafarka il futurista, Mondadori.
  • W. Gibson, La notte che bruciammo Chrome, Mondadori.
  • C. Palahniuk, Survivor, Mondadori.
  • A. Caronia, Il Cyborg, Shake Edizioni.
  • F. Nietzsche, Volontà di potenza, Bompiani.
  • F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Adelphi.
  • E. Junger, L’Operaio, Guanda.
  • O. Spengler, L’uomo e la macchina, Settimo Sigillo.
  • B. Sterling, La matrice spezzata, Mondadori.

Filmografia

  • F. Lang, Metropolis.
  • Mamoru Oshii, Ghost in the Shell.
  • Robert Longo, Johnny Mnemonic.
  • Katsuhiro Otomo, Akira.
  • Katsuhiro Otomo, Steamboy.
  • Ridley Scott, Blade Runner.
  • Shinya Tsukamoto, Tetsuo.
  • George Miller, Mad Max.
  • Larry Wachowski, Andy Wachowski, Matrix.