Attra-Verso un’architettura. Da Le Corbusier ai nuovi paradigmi

Autore: Emmanuele Pilia

da: Divenire 2, Genealogia ()

1. Tra classico e gotico

All'interno della storia dell'architettura, dalla modernità in poi, uno dei dualismi più efficaci con cui è stato possibile descrivere l'intera evoluzione dei linguaggi visivi che si sono man mano susseguiti, è stato il modello che vedeva come grande invariante l'alternarsi di periodi gotici a periodi classici.

Questo modello, nel suo estremo schematismo, ha portato, nell'interpretazione storiografica dell'architettura, ad un approccio di principio errato mostrando come unica matrice del processo storico quello del linguaggio, senza poter approfondire quelle che di volta in volta si sono presentate come le varianti chiamate in causa. D'altronde però, è pur vero che negli ultimi cinque secoli il richiamo a questa o quell'altra tradizione è stato, e continua ad esserlo nelle sue varianti e sfumature, il biglietto da visita di più di un maestro, dando così un'identità chiara alla scuola di appartenenza e conseguente discepolato. È probabile quindi che questa ingenuità perseguita dalla critica sia stata frutto delle diverse autobiografie, che vedevano inequivocabilmente dichiarare l'appartenenza ad una delle due categorie.

La parzialità di questa forma storica sinusoidale emerge in tutta la sua chiarezza accostando due personaggi che hanno avuto più di un'occasione di ribadire la loro dimensione teorica, portando avanti nella loro opera un discorso che trova, a partire dalle iniziali dichiarazioni di intenti, un numero inimmaginabile di punti di contatto, e perfino profonde incursioni nei reciproci campi, nonostante un mezzo secolo ne divida il lavoro.

Questi sono Charles-Edouard Jeanneret-Gris, alias Le Corbusier, e Lars Spuybroek, fondatore dei Nox Architects. Il primo è un classico, esaltatore del tempio greco come esempio assoluto di bellezza architettonica, di cui il Partenone è la vetta più alta. Vetta irraggiungibile a qualsivoglia cattedrale gotica a causa della sua implicita condizione che dissolve il particolare nella continuità del totale. Il secondo invece un gotico ribelle, che vede nell'assenza di interruzione tra azione e percezione il risultato più alto dell'architettura gotica. Risultato a cui il classicismo non potrà mai arrivare a causa della dipendenza reciproca a cui sono costrette le singole parti che genereranno il tutto. Ma come già detto, il dualismo tra classico e gotico non è altro che un vistoso abbaglio. Entrambi affascinati dell'uso della tecnologia come strumento di potenziamento dell'organismo umano, entrambi visionari di un'evoluzione auto consapevole di cui l'architettura può farsi parabola, iscrivere la loro opera all'interno di quel magma informe che è il transumanismo appare tutt'altro che una semplificazione.

E di questa comune appartenenza, più o meno inconsapevolmente, non potrà esserne immune la loro architettura.

2. L'architetto dell'uomo nuovo.

Può apparir anche troppo ovvio ricordare come Le Corbusier sia stato il più influente personaggio nella storia dell'architettura del '900. Ma nonostante ciò è ancora quasi impossibile riuscire a raccogliere sotto un unico sguardo la portata rivoluzionaria che il suo contributo diede alla disciplina in diverse stagioni: tra le due guerre, nella ricostruzione post-bellica e durante il boom economico. Per la prima volta dopo la formulazione della techné, l'architettura torna ad affrontare i temi della tecnica e della scienza applicata, facendosi medium di queste.

È vero: già nel corso dell'intero Ottocento aspre dispute si sono avvicendate per rivendicare o meno il primato della tecnica sullo stile, di cui l'interpretazione meccanicista trova nella scienza delle costruzioni e nello sviluppo di tecniche e materiali edilizi i suoi principali argomenti. Ma è con Le Corbusier che queste innovazioni entrano nell'intimo della vita dell'uomo, impegnando ogni sua ener-gia per la realizzazione di macchine per abitare, formulando la necessità di case come un'automobile. 1

Ma ancor prima che le sue prime realizzazioni lo trasformino agli occhi dei dirigenti russi ne l'immagine stessa dell'uomo nuovo, i suoi articoli iconoclasti lo presentano innanzi tutto come un ribelle nietzschano, un distruttore nichilista di cui persino gli incubi macchinistici del costruttivismo russo e del futurismo italiano acquistano, al paragone, il sapore di romantiche evacuazioni. Articoli presentati già prima della fondazione della rivista L'Esprit Nouveau nel 1920 2 , ma che solo quest'ultima riuscirà a dare fama internazionale alle proposte del maestro. Attraverso di essa Le Corbusier pubblicherà in fascicoli diversi libri, tra i quali Verso un'architettura, dove, instaurando paragoni provocatori tra l'universo meccanico e quello dell'arte, offrirà spunti di riflessione anche ai non addetti ai lavori, garantendosi le simpatie delle élite tecnocratiche. Associando il Partenone all'automobile Delage, viene suggerita l'esistenza di un tipo di armonia che accomunerebbe la pietra scolpita e gli organi meccanici. Questo convinse il pioniere dell'aeronautica e costruttore di automobili Gabriel Voisin a finanziare nel 1925 Le Corbusier nella preparazione di un progetto da presentare all'Exposition internazionale des arts decoratifs: il Plan Voisin. Progetto teorico virtualmente esportabile in qualsiasi contesto, ma che per l'occasione fu calato nel cuore di Parigi, il Plan Voisin prevede la demolizione di una vastissima parte del centro, salvaguardando soltanto alcuni episodi monumentali, pur essendo idealmente traslati dalla loro posizione originale per meglio soddisfare i canoni dell'estetica moderna. Ora, andare a perdersi nei dettagli sarebbe del tutto fuori luogo in questa sede. Importante invece è andare a sondare le pieghe ideologiche che porteranno all'ideazione del piano. L'analisi che fin dalla metà dell'Ottocento vedeva i vecchi centri ormai insoddisfacenti alla vita moderna ed alle nuove abitudini, l'evolversi degli standard di trasporto ed il bisogno di nuove norme igieniche, spingono pesantemente sul porre in chiaro i requisiti minimi di cui la città nuova dovrà dotarsi, di cui i punti fondamentali che qui interessano stanno nel creare aree indipendenti adibite unicamente al miglioramento del corpo, immaginandosi vaste aree verdi attrezzate ed infrastrutture ad hoc separate, per motivi igienici, nettamente dal centro cittadino che sarà invece dotato di nuove e funzionali infrastrutture della mobilità di cui l'automobile è la protagonista indiscussa. Gli spazi verdi della natura non sono quindi concepiti come oasi incontaminate, ma anch'esse vengono conquistate dalle macchine, nuovo ausilio ad un esercizio del corpo non più inteso come libero movimento, ma piuttosto come potenziamento artificiale.

Il paesaggio urbano sarà scandito dai grovigli di autostrade e le linee dei grattacieli. Immagine che, razionalizzata e resa matematica, probabilmente proviene dalle visioni futuriste di Antonio Sant'Elia (autore de La Città Nuova, 1914), e che insieme ad essa fornirà il materiale primo per le visioni urbane di Fritz Lang nel suo Metropolis (1927) 3 , di cui lo spazio visivo è in primo luogo l'universo dello sviluppo e dell'utopia, negativa e positiva a un tempo, la forma urbana della civiltà della tecnica che attraverso la nuova architettura disegna l'immagine del futuro 4 . Futuro che ha bisogno per potersi manifestare di essere normato ed estendibile ad ogni latitudine. Anche al costo di sacrificare ogni slancio personale. All'individualismo, frutto del delirio, preferiamo il banale, il comune, la regola piuttosto che l'eccezione. Il comune, la regola, la regola comune sono basi strategiche del cammino verso il progresso ed il bello. Il bello generale ci attira, mentre il bello eroico ci sembra un incidente teatrale. Noi amiamo la soluzione e diffidiamo dei fallimenti, sia pur grandiosamente drammatici. Affermazioni perentorie che tendono alla ricerca di una formula compositiva così sicura ed obiettiva da risultare inevitabile che sfocerà nella formulazione di cinque punti a cui l'architetto moderno potrà far riferimento senza aver paura di sbagliare. I cinque punti della nuova architettura 5 saranno per Le Corbusier uno dei vertici del suo cammino che avvicinerà l'architettura ad una scienza più o meno esatta e ripetibile in laboratorio, sogno d'un cartesiano che prevede un veloce dissolversi del vernacolo a favore di un sempre più definito nuovo. Ma per quanto normata, per quanto Le Corbusier abbia più volte annunciato il primato della regola sull'eccezione, la nuova architettura non è stata una semplice applicazione di regole. Anzi, più volte Le Corbusier si è lasciato andare a gesti estetici gratuiti, dandosi la libertà di creare object a reacion poetique. Gratuità riconducibili sempre all'interno della sua ricerca di una nuova armonia, a cavallo tra logica matematica, esasperatismo tecnologico e pittura purista.

3. Verso un'architettura internazionale.

La funzione didattica con cui Le Corbusier si offrì ai suoi contem-poranei, ebbe un'influenza immediata sulle nuove generazioni di architetti europei impegnati nella ricostruzione successiva ad entrambi entrambi i conflitti, i quali avendo bisogno di un metodo di costruzione veloce ed economico, ma anche vedendo nel razionalismo un trionfo della società meccanica che finalmente andava affermandosi senza inibizioni anche nell'intimo della vita, si arresero inermi al primo razionalismo.

Questo paradossalmente mise in ombra la sua figura, a causa della massa di cloni che non fecero altro che riproporre acriticamente il metodo dei cinque punti, senza alcun filtro interpretativo, non riuscendo a rileggere in chiave poetica la rivoluzione in atto, trasformando il sogno di una società completamente automatizzata in un incubo sterile. Il razionalismo, da lui elaborato in maniera così rigorosa da poter essere raccolta in assiomi, diventò un vero e proprio dogma per gli architetti del suo tempo, i quali affascinati dalla promessa di una utopia perfettamente realizzabile, trassero dal suo Verso l'architettura un metodo infallibile per progettare la propria opera senza aver paura di sbagliare. Probabilmente a far emergere l'architettura di Le Corbusier come metodo, più che esaltarne la portata rivoluzionaria e trasformarne gli insegnamenti in spunti, fu il fortunato testo The International Style: Architecture Since 1922 di Philip Cortelyou Johnson 6 , movimentatore culturale incredibilmente influente all'interno degli ambienti del dibattito architettonico, noto più per la sua potenza comunicatrice che per un vero apporto teorico.

Già dal nome del piccolo testo, Stile Internazionale, se ne deriva la potenzialità in termini di esportazione di stile, che sottintende come prerogativa il disinteresse verso il contesto in cui si va ad operare. Nozione a cui era già arrivato Walter Gropius, direttore della Bauhaus, in maniera certamente più profonda, senza il bisogno di rifarsi alla nozione di stile, definendo l'architettura internazionale come [...] una moderna impronta unitaria, condizionata dai traffici mondiali e dalla tecnica mondiale, (che) si fa strada in ogni ambiente culturale [...] fra i tre cerchi concentrici individuo, popolo, umanità - il terzo e maggiore abbraccia gli altri due; di qui il titolo architettura internazionale. Curioso il fatto che un filologo attento ai problemi dell'arte come Johnson usi il termine stile, e non linguaggio o poetica. Probabilmente perché questi due concetti non sono funzionali ai fini della speculazione che intende perseguire.

D'altronde il linguaggio, nelle scienze molli quanto in arte, è qualcosa di profondamente legato ad un ceppo culturale, così come la poetica ad un singolo, e quindi difficilmente esportabile. La campagna di Johnson continuò anche dopo che Le Corbusier aveva ormai completamente esaurito, da solo ed in ogni sua sfaccettatura, il discorso razionalista, ormai evoluto in brutalismo: più che una variante del primo razionalismo, il brutalismo si pone come l'esposizione nuda e cruda degli elementi tecnologici. Tubi, cemento vivo, spigoli e cavi elettrici: è innegabile che l'influenza del brutalismo sia stata fondamentale per l'emancipazione dall'International Style, come già detto frutto di un abbaglio di Johnson. Dal neoespressionismo plastico, all'informale, fino al metabolismo giapponese, hanno un debito incolmabile verso questa seconda maniera, che in questo modo, dopo aver già segnato indelebilmente il secolo, Le Corbusier sterza di quasi 180° gradi per tracciare un secondo, profondissimo, solco.

Alla luce della recente realizzazione di una sua opera cominciata postuma nel 1969, per essere terminata solo nel 2006, la Chiesa Saint-Pierre de Firminy, è ben chiaro quanto a lungo si sia prolungata l'influenza del maestro svizzero, mostrando di essere stato capace di anticipare con grande precisione uno sviluppo che non poteva che emergere da questioni interne alla società post industriale, come un rinnovato senso d'estetismo diffuso o il dramma di un ulteriore sgretolamento delle ideologie, vissute in prima persona attraverso la tragedia di chi ha visto la propria utopia infrangersi contro il muro sordo del conflitto mondiale. Sgretolamento ideologico impossibile da ricomporre quando così strettamente connessi con la propria persona, e di cui la Cappella di Notre Dame du Haut a Ronchamp, opera del 1955, rigorosa negazione di tutto il suo precedente operato, supera qualsiasi vertice di ogni lirismo simile tentato. Se il periodo tra le due guerre è caratterizzato dalla ricerca di una poetica della rivoluzione tecnica e della restituzione di quest'ultima al servizio dell'uomo, quest'opera rappresenta un passo indietro rispetto ad ogni possibile riconciliazione tra uomo e razionalità.

Registrazione puntuale dell'impossibilità di riscattare il mondo con la ragione. Da qui in poi Le Corbusier si darà carico degli smarrimenti e delle crisi del secondo dopoguerra. Solo un opera si sottrarrà a questo destino: il Padiglione Philips all'Esposizione Internazionale di Bruxelles del 1958, vero punto di contatto tra la modernità e ciò che è stata definita da più parti transArchitettura. 7

4. La terza avanguardia di Le Corbusier: il Poème électronique

La ricostruzione virtuale del Padiglione Philips a cura del progetto VEP 8 , a cinquant'anni dalla sua demolizione, è sintomatica a dimostrare l'attualità di un'opera pensata per raccontare il disastro dell'uomo contemporaneo ed il cammino che esso deve affrontare per giungere alla propria redenzione attraverso l'identificazione tra se stesso e la sua tecnica. L'intenzione iniziale della Philips era ovviamente diversa: dopo esser riusciti a guadagnare uno spazio all'interno dell'Esposizione Internazionale, occorreva allestire un padiglione nel quale mostrare l'alta tecnologia raggiunta nel campo delle luci, del suono e dell'elettronica. Ma a mediare nelle decisioni tecniche vi era fortunatamente l'idea dell'art director della Philips, Louis C. Kalff, ossia quella di fare un padiglione ove non fosse necessario esibire nessuno dei prodotti, ma una dimostrazione fra le più ardite degli effetti del suono e della luce, dove il progresso tecnico potrà condurci in avvenire. A questa richiesta, Le Corbusier rispose cripticamente: Non farò un edificio ma un poema elettronico in cui colore, immagini, ritmo, suono e architettura verranno a fondersi in tal modo che il pubblico resterà del tutto soggiogato da quanto la Philips fa. Proprio in un architettura effimera, Le Corbusier, torna ad una concezione matematica dello spazio, ma questa volta piegato alla creazione di uno spazio indicibile. Collaboreranno a questa creazione Iannis Xenakis ed Edgar Varese.

Il primo, ingegnere dello studio parigino di Le Corbusier, già due anni prima dell'incarico del Padiglione nel 1956, aveva creato l'opera musicale Les Metastasis, primo capolavoro di una ricerca interdisciplinare che esprimerà in musica la sintesi di scoperte che attingono a vari campi del sapere scientifico 9 , piegati ad una una concezione "spaziale" del suono.

Il secondo, musicista della prima avanguardia, tra i primi a sperimentare l'uso dell'elettronica nella musica pur non approfondendone a fondo le possibilità, alla ricerca non di sperimentali contaminazioni, ma di una musica "della macchina" 10 , rimanendo legato ad una visione meccanicista assimilabile a quella del futurismo. Collaborazioni queste che valgono più di una dichiarazione d'intenti. Il risultato sarà una macchina musicale nel quale esporre la corsa dell'umanità attraverso i secoli, verso una società sempre più meccanizzata, e la conseguente futura armonia. Armonia perseguita nel-la costruzione attraverso l'equilibrio di dodici paraboloidi iperbolici che si chiuderanno attorno uno spazio neutro creato ad hoc per l'esecuzione del Poème électronique. Sulle pareti di questo verranno proiettate immagini elaborate e selezionate dallo stesso Le Corbusier, con le quali rendere esplicito una volontà che ha accompagnato dagli esordi il suo lavoro, ossia quella di voler offrire un contributo, attraverso l'architettura, all'evoluzione dell'uomo. Le immagini utilizzate verranno raccolte in un video dalla forte propensione astrattista, dove foto di utensili tribali si alternano a rappresentazioni di missili ed aeroplani, presi per la loro plasticità come fatto estetico e simbolo di un progresso capace di guidare i nostri passi. La paura di vedere l'edificio ed il suo equipaggiamento colpiti dal rigore dell'inverno porterà alla sua demolizione, e con esso alla definitiva chiusura dello spettacolo presentante l'avvento dell'uomo nuovo ed il suo angosciante processo di emancipazione dalla propria natura. Progetto oscurato dalla fama del suo stesso creatore, troverà riscatto nella suggestione che sarà in grado di insinuare, ben quarant'anni dopo, in due creativi come Lars Spuybroek e Maurice Nio, allora riuniti nei Nox 11 . Essi realizzeranno il Fresh h2o Expo Pavilon, l'opera che, secondo Charls Jenks, ancora deve essere superata. 12

5. Azione e percezione.

Certo: osservando i lavori sfornati dallo studio Nox, a tutto si può pensare tranne che a una discendenza lecorbuseriana, escludendo ovviamente il padiglione Philips. Sarebbe forse più logico paragonare questi con alcune fantasie illustrate nei libri di Joul Verne, o le più recenti visioni di Hans Ruedi Giger.

Non è nelle opere che occorre andare a cercare relazioni e/o di-stanze tra i due, ma nell'approccio con cui essi si avvicinano ad un uso della tecnoscienza applicata all'architettura, e nella volontà di formare con essa un uomo nuovo. Da una parte, Le Corbusier si assume, in qualità di architetto moderno, la responsabilità di riplasmare l'intera società attraverso un'organizzazione della città, del traffico, dei singoli ambienti, derivata dall'utilizzo di macchine adibite agli scopi più vari, di cui la casa è la già citata macchina per abitare. Dall'altra Spuybroek si interessa più ad indagare i limiti che se-parano il soggetto, la sua percezione e la sua carne dalle cose, apparecchiature cibernetiche o edifici che siano.

Un utilizzo dell'architettura come protesi propriocettiva 13 , un'interazione tra architettura e corpo che consideri anche le appendici del cyberspazio come estensioni sia dell'edificio che della pelle e degli organi umani: questa è la sfida che Lars Spuybroek ha lanciato tramite la sua ricerca. A questa si aggiungono, non come mere ap-pendici ma come un tessuto che fa da sfondo a tutta la sua opera, le riflessioni sulla continuità tra azione e percezione ed una presa di coscienza delle potenzialità dell'utilizzo del computer in architettura.

Se il terreno da cui traeva le sue teorie Le Corbusier era quello seminato dalle avanguardie e dal pensiero nichilista, le aree in cui si muove l'architetto olandese sono quelle fondate dalla svolta mediatica, all'interno dell'estetica, ad opera di Marshall McLuhan. Le conseguenze individuali e sociali [...] di ogni estensione di noi stessi, derivano dalle nuove proporzioni introdotte nelle nostre questioni personali da ognuna di tali estensioni o da ogni nuova tecnologia. 14 Ne deriva che ogni medium amplifica le potenzialità fisiche, intellettuali, sensoriali e cognitive dell'individuo, modificando di conseguenza l'agire e il pensare individuale e con esso le strutture della società. In quanto estensioni del nostro sistema fisico e nervoso, per McLuhan, i media costituiscono un sistema di interazioni biochimiche che deve cercare un nuovo equilibrio ogni volta che sopraggiunge una nuova estensione. A queste riflessioni Spuybroek si pone in diretta continuità, abbandonando però ogni considerazione sulla società per concentrarsi sull'esperienza del singolo e della carne. [...] i movimenti delle protesi possono diventare automatici, non importa che sia fatta di carne, di legno, o - più difficilmente - di metallo, come nel caso di un'automobile.[...] il fantasma intrinseco del corpo ha una tendenza irrefrenabile ad espandersi, ad integrare ogni protesi, che sia sufficientemente sensibile, nel suo sistema motorio, nel suo repertorio di movimenti, e a farla funzionare armoniosamente. E ancora, I movimenti possono essere fluidi solo se la pelle si estende il più possibile alla protesi e all'interno dello spazio circostante, così che ogni azione abbia luogo all'interno del corpo, il quale non compie più movimenti coscientemente ma basandosi completamente sul "sentire". 15 Deliri di un architetto che spinge all'estremo la definizione vitruviana che vuole l'architettura definita dalle misure del corpo, facendo identificare l'architettura con il corpo stesso. Si apre un legame molto più profondo tra azione e percezione che vede la fruizione architettonica come un auto innestarsi in una protesi che non ha come obiettivo quello di sopperire ad una mancanza, ma, come il medium di McLuhan, estende i nostri limiti, e puntando addirittura all'appropriazione di sensibilità non proprie all'uomo. A tal proposito, è interessante andare ad osservare come alcune riflessioni di Mark Hasen sul ruolo assunto dall'architettura mediatica si prestino a spiegare il lavoro operato da Spuybroek. La sua tesi consiste nella presa di coscienza che il ruolo di questa architettura è quello di operare come stimolatore di una nuova convergenza, basata su un regime di esperienza e presenza, in opposizione al regime di telepresenza, ormai obsoleto. Ciò di cui si sta parlando è la rappresentazione intesa come il campo di sperimentazione delle condizioni contemporanee della soggettività umana, che si connette così con un sentire tecnologico radicalmente più intimo di quello a cui sarebbe destinata la società prospettata dal positivismo. Seguendo i ragionamenti di Hansen, l'inversione corrente dall'iniziale direzione del vecchio progetto di stampo cibernetico è enorme. L'idea del formare l'uomo alla macchina si tramuta nel reinserimento dell'umano nel circuito della macchina, per ripensare la convergenza tra l'umano e il tecnologico.

[...] una correlazione della tecnica ad "una nuova estetica", che deve essere capita in senso letterale come aisthesis, il sentire-percepire del mondo. [...] Questa nuova estetica determina l'inseparabilità dell'esperienziale (aisthesis) dal tecnico. 16

È particolarmente importante notare come lo stesso Spuybroek, commissionatogli un lavoro di ambito urbano, che per definizione investe interessi allargati, riesce a ricondurre la propria attenzione verso una cittadinanza considerata come un soggetto unico, seguendo il paradigma riproposto da Pierre Lévy di intelligenza collettiva. 17 La problematica affrontata è quella di innestare una protesi al collettivo, preso come un ente unico e soggettivo, essere senziente che prende da se le proprie decisioni. Protesi emozionale che trova nel progetto D-Tower 18 la sua manifestazione. La torre, un oggetto polimero dalle sembianze di un mollusco alto dodici metri, è costantemente collegata via internet ad un sito creato per l'occasione 19 , dove la cittadinanza è invitata a rispondere a dei questionari proposti così da comunicare il proprio stato emotivo. La torre cangiante al crepuscolo vira così le sue tonalità cromatiche traslando il sondaggio virtuale in una esteriorità visibile allo stesso ente che ha prodotto il nuovo effetto. La continuità avuta da azione e percezione, uomo e macchina, trasforma la totalità della cittadinanza in un'ipercorteccia, per continuare la metafora di Lévy, di cui ogni utente si fa neurone. Sarebbe forse retorico enfatizzare il ruolo assunto dalle tecnologie informatiche in questo progetto, ma è interessante andare a soffermarsi in questa sede su una idea più volte citata, ossia quello della possibilità del proseguimento dell'ominazione ottenuta tramite la presa di coscienza delle possibilità offerte dalle tecnologie di virtualizzazione del corpo. Lars Spuybroek sembra rispondere alla questione del ruolo che potrà svolgere l'architettura del nostro tempo, posto dallo stesso Lévy 20 . In questa chiave è possibile rintracciare una linea di continuità, che atteggiamenti stilistici agli antipodi continua ad omettere, ma che connette saldamente i due architetti ora oggetto di studio.

Non resta ora che parlare del Fresh h2o Expo Pavilon nel parco di Neeltje Kans, in Olanda.

6. L'opera che deve ancora essere superata.

Se, come si diceva prima, il Padiglione Philips di Le Corbusier è tornato ad essere oggetto di interesse negli ultimi anni, con tanto di studi finanziati dalla Commissione Europea della Cultura, è soprattutto grazie alla nascita di una rinnovata sensibilità per gli spazi tecnici. Un tempo fabbriche e centri di calcolo, oggi gli ambienti digitali della transArchitettura pescano a piene mani dalle esperienze delle avanguardie storiche e dalle prime esperienze elettroniche, in cui Le Corbusier non si era certo risparmiato a partecipare. Ed è par-ticolare che questa corrispondenza non sia stata ancora notata, se pensiamo che noi ad oggi osserviamo il Padiglione Philips attraver-so il filtro delle più recenti esperienze, di cui il Fresh h2o Expo Pavilon è una tra le più significative.

Commissionato dal Ministero delle Infrastrutture e della Gestione dell'Acqua olandese, che aveva intenzione di dotarsi di una struttura atta a far vivere un nuovo tipo di esperienza dell'acqua, l'edificio di Neeltje Kans non contiene un'esposizione nel senso classico del termine, ma è esso stesso vetrina ed opera esposta. Questo particolare sistema espositivo si articola in un programma funzionale formato da tre attività: oltre all'esperienza dell'acqua richiesta dalla committenza, si ha l'occasione per sperimentare i temi dell'architettura come protesi e quello della continuità tra azione e percezione.

L'acqua, ambiente primordiale da cui deriva la vita, diventa così il pretesto per la realizzazione di una commistione tra arcaico ed elettronico all'interno di una grotta tecnologica illuminata dal chiarore di circa duecento neon azzurri ed un imprecisato numero di proiettori LCD, che, a contatto con i vapori e l'umidità prodotta dalla struttura, creano effetti stroboscopici che rimandano fortemente alle immagini prodotte dal monolite nero di 2001: Odissea nello spazio, che proietta l'astronauta Bowman su paesaggi alieni, in un percorso attraverso lo spazio e il tempo. Ma il protagonista del film di Kubrick, chiuso nella sua capsula, è costretto a subire uno spettacolo sul quale non ha alcun potere, subisce quindi un impedimento della continuità tra azione e percezione, che lo getta nel panico. Al di la di dell'evocazione visiva affine, nel Fresh h2o Expo Pavillon la sospensione provata da Bowman nel film viene dissolta: il fruitore viene catapultato in uno spazio definito dalla ricerca del limite del controllo sul proprio corpo. Ribaltando l'assioma di Gottfried Semper per cui le superfici orizzontali, i pavimenti, e quelle verticali, i muri definiscono rispettivamente l'azione e la percezione, Spuybroek fonde assieme muri e pavimenti, tracciando una continuità che non si ferma all'ideale. Non una superficie resta orizzontale, ma continui movimenti scuotono uno spazio in cui il corpo è costretto a trovare l'equilibrio facendo affidamento esclusivamente sul proprio movimento. A questo equilibrio continuamente ricercato, fa eco la stessa architettura che si fa protesi reagendo ad ogni movimento. Il corpo raggiunto l'autocontrollo, espande i propri limiti per assumere il controllo di ciò che gli sta attorno, riuscendo finalmente a gestire lo spettacolo di luci e suoni che si danno come una continuazione ideale dell'evoluzione presentata da Le Corbusier: in Spuybroek l'uomo, ormai cosciente di aver tra le proprie mani la chiave del proprio destino, può proseguire, mostrando a se stesso cosa l'aspetta. Le composizione polifoniche di Edwin van der Heid 21 & Victor Wentink vengono attivate anch'esse nella stessa maniera delle luci e dei suoni, contribuendo alla sensazione di essere un tutt'uno con la macchina che ci circonda.

Il poema elettronico di Le Corbusier viene traslato in una prosa che fa della costrizione un mezzo per prendere coscienza del cam-mino che l'uomo ha affrontando per millenni. Spuybroek ci vuole dire questo: dopo secoli di stasi, finalmente raggiunta la possibilità, è giunta l'ora di rialzarsi.

7. Una nuova lettura.

Appare chiaro come due maestri che hanno impostato la loro carriera con posizioni agli antipodi, possano trovarsi all'interno della stessa linea storica. I due edifici presentati ne sono un esempio: lì dove termina la sua ricerca Le Corbusier, Spuybroek ne riprende i temi e ne mostra l'attualità con i dovuti accorgimenti, presentandosi come un continuatore ideale di una certa parte del ripensamento della disciplina portato avanti dello svizzero. È in quest'ottica che occorre andare a cercare la chiave di lettura dell'opera di Lars Spuybroek: riuscire a raccogliere la scommessa di un'architettura totalmente immersiva capace di indagare a fondo le implicazioni di una tecno-logia sempre più presente nel quotidiano, sempre più invasiva nei corpi degli utilizzatori di essa. La transArchitettura nasce da queste premesse, e la sua ambizione è quella di produrre spazi estremi in cui sperimentare i limiti del proprio corpo, virtuali o fisici che essi siano. Occorre dar merito allo studio dell'olandese di essere riuscito a realizzare la prima opera di questa categoria, dopo anni di teorie e annunciazioni per lo più retoriche.

Il dualismo tra goticismo e classicismo, tra virtuoso e razionale è ormai obsoleto, così come quello più vago tra reazionarismo e progressismo. Alla stessa maniera, l'assioma per cui ogni tendenza, stile o linguaggio, possa essere divorato da quel tritatutto che è il post-moderno, appare oggi ingenuamente imbarazzante. Si sente quindi il bisogno di nuovi filtri interpretativi, non fermi a considerazioni stilistiche, ma capaci di scavare più a fondo nelle motivazioni dell'opera. E la transArchitettura, figlia illegittima del transumanesimo, è tra le favorite ad assumere questo ruolo.

Bibliografia

  • Bruno Zevi (2001), Storia dell'architettura Moderna I vol., Biblioteca Einaudi, Torino;
  • Le Corbusier (1973), Verso un'architettura, Longanesi, Milano;
  • Parteolo Betto (1990), Fritz Lang. Metropolis, Lindau, Torino;
  • Alessandra Capanna (2000), Padiglione Philips – Bruxelles, Testo & Immagine, Torino;
  • Amedeo Petrilli (2001), Acustica e architettura. Spazio, suono, armonia in Le Corbusier, Marsilio, Venezia;
  • Jencks Charles (2002), Le Corbusier e la rivoluzione continua in architettura, Jaka Book, Milano;
  • Edgar Varèse (1985), Il suono organizzato, Ricordi-Unicopli, Milano;
  • Marshall McLuhan (1967), Gli strumenti per comunicare, Il Saggiatore, Milano;
  • Lars Spuybroek (2004), Azione e percezione, in L'arca n° 196, Milano;
  • Ludovica Tramontin (2006), nox, EdilStampa, Roma;
  • Lars Spuybroek (1997), Geometria Motoria, in 2a+P n° 0 Body, Roma;
  • Lars Spuybroek (2004), NOX: Machining Architecture, Thames & Hudson, Londra;
  • Mark Hansen (2005), Embodiment: The Machinic and The Human, in aRT And D: Reserch and Development in Art, V2_NAi Publishers, Rotterdam;
  • Pierre Lévy (1997), Il Virtuale, Raffaello Cortina Editore, Milano.

Sitografia

Note

  • 1 A questo casa come un'automobile si riferisce parlando del proprio progetto elaborato per l'esposizione di Stoccarda del 1927 diretta da Mies Van Der Rohe, ossia la serie di case Citroën. Il riferimento all'azienda francese è del tutto volontario, nonostante non sia collusa in questa operazione.
  • 2 L'Esprit Nouveau, rivista illustrata internazionale dell'attività contemporanea sarà il periodico con cui Charles-Edouard Jeanneret-Gris, che dal primo numero assumerà lo pseudonimo di Le Corbusier, Amédée Ozenfant e Paul Dermée offriranno informazioni sull'attualità politica, artistica e scientifica filtrate dalle idee dell'avanguardia purista.
  • 3 Non a caso Hunte e Kettlehut provenivano dagli ambienti vicini alla Bauhaus. Ambienti assai familiari a Le Corbusier.
  • 4 Paolo Bertetto, Fritz Lang. Metropolis, Torino, Lindau, 1990.
  • 5 Sinteticamente, i cinque punti della nuova architettura si dividono in: 1) Uso dei Pilotis, così da elevare l'edificio dal suolo a simboleggiare l'emancipazione dell'uomo nuovo dalla schiavitù millenaria della natura, emancipazione possibile soltanto a partire dalla presa di coscienza delle possibilità della tecnica; 2) Il Tetto-giardino, che restituisce all'uomo una natura artificiale trasfigurata della sua casualità, 3) Il Plan-Libre, resa anch'essa possibile dall'uso di una tecnologia ormai matura, permette di liberare la disposizione dello spazio dai vincoli strutturali, 4) La Facciata libera, criterio che permette di liberarsi dal neoclassi-co uso delle facciate neo-classiche, per un approccio più intimo con ciò che si vuol dire nell'esterno dell'edificio, 5) Finestre a nastro, parallelo al parametro delle Facciate libere, per cui è possibile inondare la casa di luce, seguendo i nuovi canoni d'igiene.
  • 6 Philip Cortelyou Johnson, allora già direttore della sezione architettura del MoMA di New York, scrisse The International Style: Architecture Since 1922 insieme al curatore Henry-Russell Hitchcock in occasione della mostra omonima al MoMA, che, nelle idee di Johnson, avrebbe dovuto creare un ponte tra gli Stati Uniti e l'Europa.
  • 7 Per Marcos Novak la transArchitettura può essere definita come la descrizione di una trasformazione o una trasmutazione dell’architettura verso la rottura dell’opposizione di fisico e virtuale e la proposta di un continuum che conduca da un’architettura fisica a un’architettura tecnologicamente potenziata a un’architettura del cyberspazio. Marcos Novak, Babele 2000, presentazione della mostra Transarchitecture. Se ne scorge una linea di continuità con la definizione del biologo Julian Huxley di Transumanesimo, per il quale il transumano è l’uomo che rimane umano, ma che trascende se stesso, realizzando le nuove potenzialità della sua natura umana, per la sua natura umana.
  • 8 Progetto finanziato dalla Commissione Europea della Cultura. Dalla declaratoria del progetto: [...] quasi 50 anni dopo il progetto VEP restituisce l'esperienza totale mediante le tecniche di realtà virtuale, attraverso la ricostruzione tridimensionale del padiglione e lo spettacolo di luci e suoni fruibile attraverso un casco immersivo ed un audio binaurale in cuffia che restituisce la spazializzazione del suono. A questo proposito è importante sottolineare la sensibilità della Philips che ha capito l'importanza dell'evento, ed ha prodotto una vasta documentazione.
  • 9 Dalla fisica all'elettronica, dalla biologia alla matematica, Xenakis si muoveva con una certa abilità tra le discipline scientifiche dati i suoi precedenti studi in matematica. È facile intuire che importanza avrà Xenakis all'interno della ripresa, seppur estemporanea, da parte di Le Corbusier dell'interpretazione dell'architettura come scienza. Ad esempio l'opera citata, Les Metastasis, si ispira alla concezione del tempo di Einstein, riuscendo a creare una commissione con alcuni concetti della matematica classica. Ad esempio, il secondo movimento di Metastasis si basa su un frammento di dodici toni con durata basata sulla serie di Fibonacci.
  • 10 E. Varèse, Il suono organizzato, Ricordi-Unicopli, Milano 1985.
  • 11 Maurice Nio nel 1999 abbandonerà lo studio per fondare, il primo gennaio del 2000, un proprio studio.
  • 12 [...] paragonandolo all'irrilevanza degli altri edifici blob, come edificio di architettura interattiva per il corpo, deve essere ancora superato. Charls Jenks, The New Paradigm in Architecture, Yale University Press, 2002.
  • 13 La propriocezione rappresenta la capacità di percepire e riconoscere la posizione del proprio corpo nello spazio e lo stato di contrazione dei propri muscoli, anche senza il supporto della vista.
  • 14 Marshall McLuhan, Gli strumenti per comunicare, Il Saggiatore, 1967.
  • 15 Lars Spuybroek, Geometria Motoria, in 2a+P n° 0 Body, 1997.
  • 16 Mark Hansen, Embodiment: The Machinic and The Human, in aRT And D: Research and Development in Art, V2_NAi Publishers, 2005.
  • 17 Lo sviluppo della conoscenza attraverso la realizzazione di un progetto più o meno preciso, quello della costituzione deliberata di nuove forme di intelligenza collettiva, più flessibili e democratiche, fondate sulla reciprocità ed il rispetto delle particolarità. In questo senso, si potrebbe definire l'intelligenza collettiva come un'intelligenza omogeneamente distribuita, continuamente rivalutata e posta in sinergia in tempo reale. Questo nuovo ideale potrebbe subentrare all'intelligenza artificiale come mito propulsore delle tecnologie digitali. Pierre Lévy, Il Virtuale, Raffaello Cortina Editore, 1997.
  • 18 Il progetto D-Tower, realizzato nel 2004 in collaborazione con l'artista olandese Q. S. Serafijn, il V2_lab e lo studio Vision Machine è stato commissionato dalla municipalità di Doetinchem, la quale nelle intenzioni iniziali necessitava di un segno capace di dare identità alla cittadina.
  • 19 http://www.d-toren.nl/site
  • 20 L'architettura ed il design non sono forse quelli dell'ipercorpo, dell'ipercorteccia, della nuova economia degli eventi, dell'abbondanza e del fluttuante spazio dei saperi? Pierre Lévy, Il Virtuale, Raffaello Cortina Editore, 1997.
  • 21 http://www.evdh.net