Sognando con Diderot

Autore: James Hughes (traduzione di: Riccardo Campa)

da: Divenire 2, Genealogia ()

L’idea illuminista che sia possibile costruire un futuro migliore per noi stessi è ancora giovane, e innesca ancora fuochi in tutto il mondo. 1 Quando le idee dell’Illuminismo hanno iniziato a diffondersi, a partire dal XVII secolo, hanno contestualmente innescato le lotte per la tolleranza religiosa, la libertà di indagine scientifica, la democrazia e la libertà individuale. La battaglia per l'Illuminismo, per il progresso stesso, è ancora in corso, e ora il fronte della lotta ha raggiunto i nostri neuroni e gameti.

L’idea che si debba utilizzare la tecnologia per trascendere i limiti del corpo umano e del cervello è stata ribattezzata "transumanesimo" da parte del biologo Julian Huxley, fratello di Aldous. Huxley ritiene che «la specie umana può, se lo desidera, trascendere se stessa» attraverso un «umanesimo evolutivo». Ma il transumanesimo, inteso come dottrina che promuove il miglioramento dell’essere umano, e non solo delle nostre istituzioni sociali, era implicito nell’Illuminismo, sin dal suo inizio, grazie alle elaborazioni filosofiche di Denis Diderot, Jean de Condorcet, William Godwin e Robert Boyle, e poi successivamente grazie ai contributi di Benjamin Franklin e Tom Paine.

Nel 1769, Diderot, curatore della Encyclopédie, scrisse tre curiosi saggi noti come Il sogno di D'Alembert, in cui racconta un immaginario dialogo tra se stesso, il suo amico d'Alembert, un’amica colta e un medico. In questi dialoghi, Diderot sostiene che, dal momento che la coscienza umana è un prodotto della materia cerebrale, la mente cosciente può essere decostruita e rimessa insieme. La scienza riporterà in vita i morti. Gli animali e le macchine possono essere riprogettati come creature intelligenti, e l’umanità stessa può riprogettarsi in una grande varietà di tipi «le cui modifiche, il cui futuro e la cui struttura organica finale sono impossibili da prevedere».

Sembra probabile che in questo secolo le previsioni di Diderot troveranno conferma. Nei prossimi decenni, quando la farmacologia, l’intelligenza artificiale, le nanotecnologie e le biotecnologie convergeranno, la durata della vita media si estenderà ben oltre il secolo. I nostri sensi si potenzieranno e riusciranno a percepire luoghi, suoni e sensazioni al di là delle nostre attuali capacità. Ricorderemo più eventi della nostra vita passata e con maggiore precisione. Controlleremo direttamente la fatica fisica, l’eccitazione e l'attenzione, e acquisiremo più intelligenza lavorativa. Avremo un maggiore controllo sulle nostre emozioni, e saremo meno soggetti alla depressione, alle compulsioni, e alle malattie mentali.

I nostri corpi e cervelli saranno circondati da e fusi con computer che, di per sé, diventeranno potenti come il nostro cervello e forse di più. Quando le nostre menti si fonderanno con le macchine, esse saranno davvero decostruite e rimesse insieme. Useremo queste tecnologie per riprogettare noi stessi, i nostri figli e gli animali, in va-rietà di vita intelligente impossibili da prevedere.

Negli ultimi trecento anni, l'idea che l'uomo dovrebbe assumersi la responsabilità creativa di migliorare le opere del "Progettista Intelligente", che siano le monarchie o la biologia riproduttiva, è stata contrastata da conservatori religiosi, politici autoritari, e romantici difensori di un passato idilliaco. Nella discussione odierna sul futuro dell'evoluzione umana, queste diverse voci provenienti da sinistra e da destra, si sono unite in una alleanza bioconservatrice, per opporsi all'estensione della vita e al potenziamento delle tecnologie umane. Per i bioconservatori, tutti i tentativi di allungare radicalmente la vita, o garantire corpi in salute e cervelli più veloci sono presuntuosi allontanamenti da Dio, una falsa coscienza del consumismo capitalista, una neo-eugenetica alla Brave New World, oppure un patto faustiano con l’era tecno-industriale. Per questi critici dell’Illuminismo, diventare più che umani minaccia la “dignità umana” ed è un tentativo destinato al disastro.

Come prefigurato da Diderot, centrale a questa biopolitica emergente è il dibattito se la mente sia un attributo dei soli esseri umani, se "umano" sia una categoria morale significativa. Per i partigiani dell’Illuminismo la mente è una proprietà emergente della materia, e "umano" è una categoria in costante evoluzione con frontiere indistinte. Il nostro accidentale dono della mente è condiviso in varia misura dai nostri cugini mammiferi e recenti antenati. Se noi e i nostri concittadini diventeremo più che umani, ovunque la linea possa essere tracciata, e se la nostra società sarà composta anche da animali intelligenti o macchine, questo non sarebbe un insostenibile abominio, ma un arricchimento della nostra diversità. I bioconservatori respingono questa diversità futura, perché assumono che solo l'uomo possa avere diritti, e che la nostra cultura e comunità dipendano dall’unità e dalla purezza della razza umana.

Tra i due estremi fuorvianti delle tecno-utopie ingenue e della messa al bando delle tecnologie emergenti promossa dai biocon, ci sono molte legittime domande circa i possibili rischi. Una sfida è quella di garantire che l'accesso alle tecnologie potenzianti sia il più ampio possibile, in modo che non si crei una frattura nella società, a vantaggio di una élite potenziata. L’accesso universale al potenziamento biologico può sembrare impossibile in un mondo caratterizzato da profonde diseguaglianze come il nostro. Ma ci sono ragioni per essere ottimisti.

Alcune tecnologie di potenziamento saranno probabilmente a buon mercato. Terapie geniche o farmaci per sopprimere l'invecchiamento e favorire la riparazione di corpo e cervello potrebbero essere poco costose da distribuire, come preservativi, zanzariere e vaccini. Naturalmente, anche se sono a portata di mano, i poveri del mondo non hanno ancora i preservativi, le zanzariere e i vaccini di cui hanno bisogno. Perciò, potrebbe sembrare sciocco sostenere che i poveri hanno un diritto all’estensione della vita e al potenziamento del cervello. Eppure, dieci anni fa, quando le terapie anti-retrovirali per l'HIV costavano 40.000 dollari all’anno, era inconcepibile che un giorno avremmo avuto – come oggi accade – miliardi di dollari in un fondo globale per mettere tali terapie a disposizione di persone che vivono con un dollaro al giorno. La risposta alla sfida globale di accesso al trattamento per l’HIV non è stata quella di vietare gli antiretrovirali nel nord del Mondo, per ragioni di equità, ma piuttosto di obbligare le società farmaceutiche ad affrontare il bisogno umanitario, sviluppando terapie meno costose, e investendo in sistemi sanitari nel sud del Mondo. Avremo bisogno di simili politiche per assicurare l'accesso alle tecnologie di potenziamento, dal laptop a 100 dollari alle terapie geniche, fino agli impianti cibernetici. Anche se le terapie di potenziamento non sono a buon mercato, i benefici sociali che esse producono le renderanno comunque convenienti.

Diderot augura a d'Alembert la buonanotte dicendo: «Date a un uomo, non dico l'immortalità, ma solo due volte la sua vita, e vedrete che cosa succederà». Quando i figli del boom demografico dei paesi sviluppati raggiungeranno i settanta anni, con la contestuale contrazione del numero di bambini che prendono il loro posto nel mondo del lavoro, i nostri sistemi sanitari e pensionistici inizieranno a barcollare. Se le malattie degenerative e le disabilità legate all’invecchiamento potranno essere posposte grazie a terapie che rallentano la senescenza e riparano il cervello, l’invecchiamento della società sarà di gran lunga meno traumatico. Investire l’uno o il due percento in più del PIL per sviluppare terapie anti-invecchiamento e garantire la loro accessibilità universale può dunque essere visto come una necessità economica.

Analogamente, i costi dei deficit cognitivi, come demenza, tossicodipendenza e malattie mentali renderanno una scelta ovvia l’accesso universale alle terapie di potenziamento cognitivo. Ma queste stesse neuro-tecnologie comportano anche gravi rischi. Nei dialoghi di Diderot, l’amico dormiente d’Alembert medita sulla possibilità che gli esseri umani possano involvere in «grandi, inerti e immobili sedimenti».

In altre parole, per infortunio o intenzione, potremmo perdere facoltà di un certo valore, come ad esempio la nostra capacità di empatia, la creatività, il timore o la calma riflessione. Alcuni farmaci creano dipendenza, come le metanfetamine, che inducono il cervello a concentrarsi solo sulla prossima assunzione, mentre ormoni e neurotrasmettitori possono manipolare i nostri sentimenti e interessi. Abbiamo bisogno di politiche e linee guida per orientare l’evoluzione umana affinché non si infili in vicoli ciechi di radicale egoismo e dipendenza, ma piuttosto verso una maggiore socialità, auto-consapevolezza e ragione. Anche l’auto-ingegneria celebrale potrebbe renderci meno che umani, e abbiamo invece bisogno di incoraggiarci l’un l’altro a rafforzare le virtù cui diamo valore.

Il terzo dialogo di Diderot affronta un altro motivo d’ansia per i bioconservatori: l’ibridazione delle persone e degli animali. Rendere meno marcata la linea che distingue l’uomo dagli animali viola un profondo tabù, richiamando la visione del Minotauro e L'isola del Dr. Moreau. Il Presidente degli Stati Uniti Bush e la Chiesa di Scozia hanno chiesto una messa al bando dell’ibridazione. Tale bando recherebbe un danno gravissimo alla ricerca biomedica, che utilizza animali con geni e tessuti umani al fine di trovare la cura per molte malattie.

Vi è, tuttavia, anche una legittima preoccupazione per la ricerca sugli ibridi uomo-animale. A che livello gli ibridi acquistano i diritti umani? Il medico di D’Alembert propone la creazione di una razza di uomini-capra per liberare l'uomo dal lavoro logorante. Ma perché sarebbe più morale asservire gli uomini-capra piuttosto che gli esseri umani? Forse Diderot aveva previsto questa obiezione, dato che nell’ultima riga del dialogo osserva che un cardinale francese aveva proposto di battezzare un orango, se solo avesse imparato a parlare.

Di fatto, il governo spagnolo sta per modificare la legge sui “diritti umani” fondamentali, al fine di includere come soggetti le grandi scimmie. Gli oppositori sostengono che le scimmie non dovrebbero avere diritti, in quanto non mostrano di avere il livello umano di pensiero e di cultura. Ma allora cosa direbbero se, attraverso l’ingegneria genetica, fossero date alle scimmie facoltà mentali di livello umano? Ci sarebbero ancora obiezioni alla piena emancipazione? Ora che abbiamo la sequenza completa di tutto il genoma degli esseri umani e delle scimmie, e che sono state individuate le principali differenze genetiche che distinguono i nostri cervelli, questa è una possibilità imminente. Lo status morale di tale scimmia sarebbe una delle linee di demarcazione più nette tra i razzisti umani e gli illuministi.

Diderot propone anche la possibilità di uno strumento vivo e senziente, un clavicembalo capace di riprodursi. Anche se Diderot si pone in modo non problematico verso questa prospettiva, di tutti i rischi derivanti dalle tecnologie emergenti, l’emersione della mente nelle macchine è forse il più grande. Nel dialogo di Diderot, la signora colta suggerisce che, come la mente è collegata al corpo attraverso i nervi, tutte le menti potrebbero essere collegate l’una all’altra e al resto dell’universo attraverso fibre sensibili, formando una gigantesca rete. Il medico risponde che, se menti cosi espanse venissero in esistenza, vi sarebbe «una epidemia di genio benigno e maligno» e «la stabilità delle leggi della natura sarebbe interrotta da agenti naturali». L’ipotesi di un caos apocalittico derivante da volontà intelligenti emergenti dall’accumulazione esponenziale di reti di macchine sicuramente rivaleggia con i rischi del cambiamento climatico e del bioterrorismo. Per prevenire questa "Singolarità" apocalittica dovremmo fonderci con il nostro web, la nostra esocorteccia, diffondendo le nostre menti in più corpi e macchine, per diventare più intelligenti e più veloci, per rimanere i tessitori della rete, e non le sue vittime intrappolate.

Se difendiamo la società liberale e utilizziamo la scienza, la deliberazione democratica e la regolazione prudente per affrontare queste sfide, abbiamo la possibilità di conquistare un futuro trascendente ora inconcepibile, e di lasciarci alle spalle questo stato larvale di umanità. Sognando, d’Alembert immagina l’umanità scindersi in bozzoli separati, ognuno dei quali distilla particolari tratti umani – magistrati, filosofi, poeti – e dà poi vita alla propria farfalla.

«Chi sa che nuova razza potrà risultare un giorno da una tale va-sta varietà di esseri viventi e sensibili?». Possiamo diventare una nuova specie caratterizzata da grande diversità, ma unita nella fraternità sulla base del condiviso apprezzamento per il valore dell’auto-coscienza in un vasto, oscuro universo. Questa è la visione positiva dell’Illuminismo: ciascuno di noi raggiunge il massimo potenziale consentito dalla tecnologia vivendo in una società caratterizzata da tolleranza, abbondanza e partecipazione democratica.

Tuttavia, lo scettico chiede: a che scopo? Perché assumersi il rischio di questo cammino verso la postumanità? Quali progetti perseguiremo con i nostri corpi immortali, le nostre menti sconfinate, e i nostri sensi sublimi? Proprio come i nostri antenati del Paleolitico non potevano prevedere le nostre grandi città, le nostre arti e macchine, o le nostre tradizioni spirituali, allo stesso modo non possiamo ora immaginare la grandezza delle realizzazioni dei nostri discendenti postumani. La signora colta, nel dialogo, immagina di recuperare la mente di un genio e di conservarla, e quindi di ricostruirla più tardi per vedere «memoria, comparazione, giudizio, ragione, desideri, avversioni, passioni, attitudini naturali, e rinascente talento». Forse i nostri discendenti useranno la nanotecnologia per trasformare interi pianeti in organismi viventi e intelligenti, dove ogni atomo diventa un processore in una mente delle dimensioni di un pianeta, consapevole della caduta di ogni passero e in grado di preservare la memoria di ogni forma di vita. In questo mondo, le nostre identità personali potrebbero continuare per miliardi di anni.

Quando D’Alembert si sveglia, chiede: «Se il tutto è un flusso universale, come il panorama dell’universo ovunque mi dimostra, quali saranno i mutamenti prodotti qui e altrove in un lasso di tempo di alcuni milioni di secoli? Chissà com’è un essere senziente e pensante su Saturno?». Forse i nostri discendenti riusciranno a trovare le altre forme di intelligenza sparse nella nostra galassia, e cominceranno ad modificare tecnologicamente l’universo per fermare la sua corsa di espansione verso la morte calda. Oppure, come suggerisce Michio Kaku, forse costruiranno un nuovo, più congeniale universo e migreranno là.

Qualunque siano i progetti e le realizzazioni dei nostri discendenti, essi – e forse alcuni di noi – si volteranno a guardare le nostre esistenze odierne con la meraviglia, la compassione e la gratitudine che noi sentiamo per i nostri antenati del Paleolitico. Come i nostri antenati hanno lasciato le loro caverne per costruire fattorie e città, ora dobbiamo assumere il controllo cosciente e razionale del nostro destino biologico e crescere per raggiungere le stelle.

Note

  • 1 Questo saggio è stato originariamente pubblicato in inglese in un numero speciale di New Scientist – stampato nel dicembre del 2006 per celebrare il cinquantesimo anniversario della rivista.